authentica è l’ultimo gioiello di Franco Pepe, come autentico è Lui, da quando ha avuto il coraggio di fare il suo percorso allontanandosi dal locale di famiglia, scegliendo un posto nascosto nel centro storico allora decadente e immaginando una pizza che a quell’epoca non c’era, non tanto nella sua sostanza concreta, quanto in quella ben più difficile da ideare del suo valore aggiunto di traino di tutta la ristorazione campana. In pochi anni è cambiato il mondo, è cambiata Caiazzo, ed è cambiata la pizza che oggi domina la scena, non solo campana. Il merito è di tanti, non ultimi anche noi giornalisti che abbiamo puntualmente segnato e stimolato il settore, a cominciare da Luciano Pignataro a Barbara Guerra e Albert Sapere per arriv are a tanti altri in un coro non sempre accordato ma comunque funzionale per gli effetti che ha avuto. Ci ritroviamo dopo qualche anno in quello che era un rudere e che oggi è il Paradiso della Pizza, con il suo mentore Franco Pepe. Ed è sicuramente bello chiacchierare con lui e pensare a come spostare l’asticella ancora più in alto. Mai fermarsi Franco!!!
Redazione Witaly
E’ un encomiabile lavoro quello che Carlo Capuano, patron del Sartù, fa nel suo locale. Sia filologico partendo da una ricca biblioteca di cucina soprattutto campana, sia poi all’atto pratico cercando di riproporre ricette lontane e famose. Il risultato è sicuramente lodevole e lo sarebbe ancora di più se riuscisse a rendere più sostenibile ad un palato moderno il percorso dei vari caposaldi della cucina napoletana che già presi singolarmente sono piuttosto impegnativi, non solo come impatto calorico, ma anche come impegno gustativo. Pensiamo alla genovese, al timpàno, alla frittata di scammaro…..tutte cose buonissime ma ne basterebbe un assaggio. Carlo, con l’ausilio pratico dello chef Angelo Lucignano, comunque è bravo pure quando si allontana dalla ricetta originale e la ripropone rivisitata, pensiamo alle alici in tortiera, e alla Rotonda sul Mara (pane raffermo con frutti di mare). Insomma un indirizzo che merita e speriamo che con un ulteriore evoluzione qui si arrivi a proporre una cucina napoletana rispettosa del passato ma percorribile pur nella tradizionale generosità dei sapori che fa parte della sua storia.
La cosa meno attraente è l’arrivo, a ridosso della ferrovia e tramite un vicolo dove è ben espressa la decadenza urbanistica delle nostre città. Poi superato il cancello, appare una piccola oasi felice. Siamo arrivati a Villa Maria Cristina, un piccolo albergo funzionale con comodo garage, piscina, piccolo giardino e prima colazione sufficiente (e al sud non è ocsì normale). La seconda sorpresa è la cucina. Qui opera il giovane (circa trenttene) Nicola Lanzi, ed è chef sorpredentemente maturo per la sua età. Sa bene che deve fare banchetti per poter far tornare i numeri, l’importante è farli bene. E cerca di farsi buon nome anche al di fuori di questi. La saletta, pur se troppo illuminata, è gradevole, il servizio di Clemente Vigliotti pure. Nicola propone piatti sensati, ha il dono della misura nel senso che non eccede in complicazioni, cerca di mantenere la direzione del gusto anche se non sempre poi ci riesce. Manca qua e là il tocco che a volte fa la differenza, ma alla fine quello che propone lo pone già in alto nel panorama del territorio. Nella sequenza dei piatti meglio i due gustosi primi degli antipasti eleganti e ben cromatici, ma un pò troppo coperti dalle salse. Anche la zuppetta di pesce (comuqnue sempre ben presentata) è migliorabile e invece c’è un gran finale con i dessert, davvero notevole. Un locale dove torneremo volentieri, sperando in un ulteriore salto in avanti.
Dopo tanti anni Francesco Apreda ha lasciato il campo, e all’Imago è arrivato uno giovanissimo chef, Andrea Antonini, romano, 26enne, importanti esperienze all’estero, alla sua prima prova da chef e, aggiungiamo noi, non in un posto qualsiasi ma un ristorante quotato e con una clientela internazionale di prestigio. Insomma la famiglia Wirth, proprietaria dell’albergo, è stata sicuramente coraggiosa. Ma, sarà che amiamo i giovani, ci pare abbia fatto una scelta giusta. Andrea in poco tempo non solo ha dovuto riprendere e reinventare la linea di cucina del ristorante, ma ha dovuto anche trovarsi una brigata, anche qui tutti giovani. La sala invece è quella di sempre, preparatissima, con Marco Amato alla guida affiancato da Alexandre Ciarla, Alessio Bricoli, ed altri ancora, e garantisce al locale continuità di accoglienza e di eleganza. Diciamo subito che Andrea è serio, preparato, ben dotato e ce lo ha dimostrato con una serie di preparazioni di livello con un bell’impatto iniziale di stuzzichini vari eleganti e ben presentati, poi un leggero calo negli antipasti (belli ma al carciofo manca il tocco romano, e alla triglia il tocco sapido). Ma nella parte centrale del menù si viaggia sicuri tra spaghetti, paste ripiene e tagliolini (solo i ravioli sono troppo coperti dall’estratto aggiunto), e stessa mano sicura la ritroviamo nei secondi. Semmai ci pare un pò vezzosa e superflua, (e complica non poco il lavoro della cucina e il servizio) l’idea di servire le ricette quasi sempre in due tempi (prima la ricetta, poi il suo seguito in chiusura). Un tempo lo faceva la Pergola, (con una brigata ben più collaudata ed estesa). Ma in conclusione siamo stati bene e non ce l’aspettavamo visto che stiamo parlando di una cucina ancora in fase di rodaggio, segno che la sala è una grande sala e che la cucina comunque ha un bel potenziale.
Prima serata di Vinoforum e plauso alla nuova location intorno al lago di Tor di Quinto, un posto che non sembra di stare a Roma per la grandezza e qualità degli spazi. Partono i primi ristoratori del gruppo che abbiamo selezionato. Ce ne saranno 30, 6 ogni due giorni, per tuttala durata dell’evento. E non possiamo non brindare visto che c’è una session di grandi champagne guidata dall’amico Alessandro Scorsone. Degustazione che ha un unico difetto: difficile trovare il peggiore.
E’ forse la prima volta che l’Orvieto dei vini si presenta così unito compatto e voglioso di far sentire la propria voce ed i propri vini. Il tutto sotto la regia di Riccardo Cotarella, grande anfitrione. Quando chiama lui difficile deluderlo e quindi c’è un pienone di voce autorevoli. La sorpresa è il vino, declinato dai vari produttori in differenti tipologie, mantenendo in genere quel tocco morbido che fa la differenza, anche nelle bollicine.
Segnatevi sulla vostra agenda questo posto: da non perdere. Siamo nel centro storico di Ruvo, dove erano le vecchie mura in una stradina caratteristica come è caratteristico il piccolo locale. Tutto è semplice e curato, due fratelli ad accogliervi. Francesco in sala vi stupirà raccontandovi erba per erba le meraviglie segrete della Murgia, ma ancora di più forse è sorprendente quello che Vincenzo riesce a fare in un metro quadro di cucina. Una cucina senza carne e pesce raramente ci è sembrata così viva, personale, attraente. Piatto dopo piatto alla scoperta di sapori spesso poco conosciuti, abbinamenti azzeccati e mano sicura nella composizione spontanea e commovente di ricette che ti riempiono di gusto ed allegria. E non manca la cornice di qualche buona bottiglia, dei formaggi acquistati dai produttori giusti e di un buon pane. Ultima meraviglia è il conto: il tutto costa 20 euro o pco più. Insomma un posto del cuore.
Giovane determinata e decisa, Maria Rosaria Stellato chef patronne del piccolo locale sembra smentire quello che si dice dei giovani moderni, che siano cioà svogliati, indecisi e viziati. Lei le idee chiare ce l’ha, pur giovane ha già un bel bagaglio di esperienze alle spalle e siamo già al secondo locale aperto in due città diverse. Pure in cucina procede decisa cercando di proporre ricette semplici,ricche di gusto che cucina di fronte alla sua clientela nella coraggiosa cucina a vista che occupa un lato della sala. Avevamo chiesto un piccolissimo menù ed in effetti è troppo poco per dare giudizi. La mano ci sembra pulita, non particolarmente avventurosa se poi a tavola ci arriva una tartare ed un hmabugher. Più stridente è forse l’abbinamento dell’acidità della ricotta con la sapidità delle triglie, e si chiude con un buon dessert.
Come non apprezzare e lodare questa giovane coppia che con grande coraggio ha investito in quest’angolo di Pontinia per costrutire il proprio sogno? A prima vista sembra proprio una pazzia, fuori dalle abituali rotte, in un borgo un pò sperduto e quasi dimenticato. Poi però ci accorgiamo che in pochi minuti si arriva a posti belli e frequentati dai romani come Terracina, il Circeo, Sabaudia e facendo due passi intorno perfino Pontinia, tenuta meglio, sarebbe poi un bel borgo grazie alla sapiente impostazione urbanistica e alla bella chiesa di Sant’Anna. (Ganache ha molto apprezzato il prato dell’Oratorio).Ma torniamo a Materia prima, che anche dal di fuori sembra una bella scheggia incastonata in un palazzo qualunque, e dentro sorprende per la pulizia, il rigore dell’arredo, l’attenzione e la ricerca per le soluzioni originali. E l’arredo preannuncia quello che viene servito: la grande attenzione al lato estetico, la ricerca del dettaglio d’effetto, la smania di precisione, l’intaglio millimetrico. Sono le frequentazioni di posti come il Geranium e il Noma che lasciano il segno e la voglia di imitazione. Qui non c’è ovviamente una brigata di pari numero, e quindi immaginiamo che i ragazzi si impegnino non poco per presentare tante preparazioni così curate. Il problema è che al lato estetico non corrisponde altrettanta padronanza della gestione dei tanti ingredienti coinvolti in ogni ricetta e quindi spesso si perde un pò il filo del gusto, si avvertono sottolineature troppo marcate e guarnizioni ridondanti. Ma sono ancora giovanissimi, carichi di voglia di fare e devono di sicuro trovare il loro equilibrio e una maggiore misura. La parte migliore ci sono sembrati i divertenti e ben articolati antipastini di benvenuto, e il buon servizio al femminile che Sara e Carlotta riescono ad assicurare. In sintesi comunque il nostro invito a continuare su questa strada e un invito a tutti di andare a Pontinia a sostenere questa avventura.