Prima edizione di Formaticum, mostra di formaggi d’autore, ed il nostro giudizio è più che positivo: bella la location, professionale l’allestimento, una buona selezione di produttori con il solo limite di una limitata presenza di quelli del nord, che però , speriamo, nelle prossime edizioni, sarà più numerosa. Un bell’impegno per Vincenzo Mancino che è stato un pò l’anima del progetto, ma anche la soddisfazione di vedere un riscontro importante.
Redazione Witaly
Incontri di gusto in una giornata di mostramercato di alcuni piccoli artigiani e produttori soprattutto della Capitale, ma non solo. Gli incontri sono stati condotti da Nerina Di Nunzio con la sua abituale verve, e da Fabio Campoli professionista consumato. Quanto ai produttori, selezionati da Luigi Gentili, c’era un pò di tutto, ma una menzione speciale a quelli dei formaggi.
Lo conosciamo da tantissimi anni, e raramente ha deluso, anzi dobbiamo lodarne la continuità e il non essersi mai seduto sulle cose già fatte. I piatti che ci ha fatto assaggiare sono secondo noi un’ulteriore e positiva evoluzione: leggeri e originali, con grande attenzione alla parte vegetale che spesso fa da protagonista, con una cucina che pesca da una grande varietà di ingredienti, dove il richiamo orientale è spesso presente ma mai ossessivo. Gli manca a volte forse il coraggio di rischiare ancora di più (un esempio è la straordinaria bistecca di cavolfiore che meriterebbe tutta l’attenzione, senza dover dar campo al controfiletto d’asino), ma Kotaro è cauto e paziente, ama procedere per piccoli passi, che è sempre forse la cosa più giudiziosa da fare. Insomma una cucina interessante, con un servizio di sala e una cantina che è altrettanto interessante (ottimi i vini in abbinamento e il curioso whisky finale con dedica a Trump). Forse è il locale che ora ci sembra un pò sottotono, rispetto alla proposta.
Il chianchiere è il macellaio in Campania. Il nome anticipa il soggetto: la carne. Qui rappresentata in varie tipologie di razze bovine, oltre al maiale. Il tutto sotto ha origine ben certa: l’azienda di Salvio a nord di Caserta, dove ci sono gli allevamenti e le preparazioni. Si può comprare ma soprattutto assaggiare nelle varie tipologie e modi usuali di preparazioni e cotture, non senza qualche ambizione gourmet (parola ripetuta anche nella presentazione). La novità sta proprio nella garaznia di base: carne ci provenienza certa e sicura, e l’assaggio ne conferma le qualità.
Gino Sorbillo ormai fa notizia ovunque vada e anche a Roma il copione è uguale. Qui un tempo c’era Rhome, un bel locale rimasto sempre un pò defilato, mentre di sicuro questo non lo sarà mai. Il personaggio è ormai popolare e amato dal pubblico e da gran parte della critica. Si presenta in chiave 7: 7 vini, 7 distillati, 7 birre 7 oizze cotte a legna. Il 7 porta fortuna? comunque è scaramantico e sulla piazza di Roma Gino non può sbagliare. Il locale è stato rivoluzionato (un tempo intimo e ovattato, ora allegro e sgargiante. Quanto alla pizza ci sembra molto simile all”originale, quindi buona. Abbiamo assaggiato due versioni della classica margherita: una più spessa, la seconda sottile a ruota di carro ancora migliore. I nostri migliori auguri ad una persona che ci ha sempre aiutato fin dalle prime gare di Emergente Pizza dieci anni fa.
Un locale curioso situato proprio all’inizio di via Giulia venendo da Ponte Sisto. Curioso perchè si entra dal Lungotevere e si è al primo piano con il ristorante sotto e alcune camere con una bella terrazza (dove in stagione si può cenare) al piano di sopra. Dentro, anzi sotto, la sala è ampia e affaccia, senza entrata, direttamente su via Giulia. L’ambiente è curato, ma un pò incerto tra un immagine di ristorante gourmet e ilgenere bistrot, in sala è l’esperto Antonello Manias, mentre il titolare è Carlo Maddalena. In cucina Pierluigi Gallo, non lo conoscevamo, è giovane e bravo. Origini campane, cresciuto in Abruzzo, scuola di Niko Romito, è modesto e tranquillo. I suoi piatti non cercano l’effetto, non sono particolarmente curati sul profilo estetico, non hanno il dettaglio tecnico che fa la differenza, ma dobbiamo ammettere che in genere sono buoni, sensati e non banali. Si potrebbe definire un confort food dove la sostanza e il gusto sono al centro dell’attenzione e questo non è poco. Il piatto meno convincente? una triglia in carrozza dove il pesce è un pò penalizzato, tra i migliori invece il polpo e i tortelli.
Non ti sembra di stare in Italia al Quarto piano di questo funzionale palazzo congressuale alla periferia di Rimini, dotato di un comodo parcheggio. A riportarti nei confini ci pensa la cucina, affidata al bravo Silver Succi, il migliore forse dei tanti allievi di Gino Angelini, con una cucina che è legata al territorio, interpretato con una finezza che è rara a vedersi in riviera romagnola, quasi del tutto priva di pesanti rimandi dialettali. Le cose migliori? la leggera ed elegante tartare, il bilanciato fagottino di crostacei, cotture meno precise nei cannelloni e nell’ombrina un pò troppo sovrastata. Anche la sala, e siamo al completo, si muove bene e con un buon ritmo. In conclusione un locale poco tipico, ma dove il territorio è più rispettato che altrove.
Nuovo look per l’Azzurra, un ristorante famoso e sempre pieno negli anni a cavallo del duemila, ma che comunque ha saputo poi reagire alla crisi che ha colpito una certa ristorazione. Ha cambiato varie formule, forse troppe, e quest’ultima arriva fino al nome: Hosteria Azzurra. Quindi volutamente un downscaling che però non intacca la qualità della materia prima. Al piano di sopra viene servita una formula originale: “fritti a metro” con tre soluzioni e piatti da 25cm, 50 cm, 100 cm. Sotto è più l’Azzurra di sempre con dei piatti anche giocosi come la pizza liquida e l’uovo strapizzato, con un’ottimo pane piadina e anche grissini di piadina, e poi la griglia a far da padrone. La carta dei vini è leggermente ridimensionata rispetto al passato, il servizio cortese e puntuale di Alessia Dicanio e, sempre presente in sala, Maurizio Signorini, ristoratore esperto come pochi.
La BIT, un tempo una delle manifestazioni più importanti del mondo fieristico, ha conosciuto profonda crisi con l’avvento del web che ha messo direttamente in contatto proposte e viaggiatori. Ma negli ultimi anni ha trovato una propria identità come punto d’incontro e confronto e molto deve al turismo gastronomico diventato ormai tema dominante. Abbiamo seguito alcuni convegni, proposti con un fitto programma ben articolato. Da apprezzare la presenza di numerosi buyers che sono quelli che poi alla fine fanno la differenza.
L’ albergo è carino e confortevole, ma quello che fa la differenza è la proposta gastronomica: a colazione, all’apertivo, “Panenostro” (questo è il nome) ti dà una scarica di allegria, di cibo sano preparato sotto ai tuoi occhi, servito con sorrisi e garbo.