Si autodefiniscono “osteria di livello”. Aggiungiamo di gran livello. Si sono messi in due: Paolo Dalla Mora e Maurilio Garola, e le hanno pensate tutte. Tre monoblocchi di cucina divisi in due spazi accolgono il visitatore che quasi ci passa dentro e così ha modo di vedere attrezzature fantastiche (non manca il rotissieur e un mantecatore evoluto), pentolame, ecc.. tutto di livello. Il percorso prosegue attraverso grandi frigoriferi con vetrata che contengono altro ben di Dio: formaggi, salumi, carni con stagionature fino a 60gg. A questo punto è d’obbligo una deviazione in cantina, un mondo a parte, curato anche questo nei dettagli e con grande eleganza. Entriamo finalmente nella bella e grande sala: troneggia il carrello dei formaggi, profuma l’aria il cestino del pane a lievito madre fatto sempre in casa, e il tartufo che spande il suo profumo. Le sedute sono ampie ed accoglienti perfino attrezzate per la ricarica dei cellulari ed in toilette la linea dei saponi è anch’essa particolare. Molto viene raccontato nel menù (un foglio gigantesco), altro al tavolo dove ritroviamo il bravissimo Germano Morina, titolare un tempo dell’Ostu de Baloss a Saluzzo. E ritroviamo in cantina un altro gran professionista: Pier Bergadano, un tempo alla Pergola di Vezza dove poteva contare su una cantina da sogno, ma anche qui come detto sopra non è messo male. La cucina è giustamente materica, punta tutto sulla sostanza e cerca (e ci riesce) di rispettarla. Buona la battuta, buona la variante del plin, grande carne quella della bistecca per finire con un buon gelato e il tutto accompagnato da un gran pane. Un investimento sicuramente importante, un segno indiscusso del valore che sa esprimere questo territorio a livello enogastornomico.
Redazione Witaly
Siamo legati all’ Oltrepò pavese e sempre desiderosi di scoprire qualche interessante novità. Come in questo caso, una bella Villa che accoglie con il suo giardino, un bell’american bar che propone ottimi cocktails e un ristorante con un bell’arredo moderno e funzionale. Riceve con garbo Antonella Maggi assistita da un servizio premuroso. Il ristorante è di recente apertura, ma già siamo al secondo chef. E’ giovane, Alessandro Proietti Refrigeri, romano, appena trentenne, con importani trascorsi, e quindi siamo ben predisposti. Forse troppo, capita a volte di avere aspettative importanti, e di rimanere quindi forse un pò delusi dal ritorno alla realtà. Alessandro per altro ha sicuramente un’ottima base tecnica, ci ha voluto praticamente far assaggiare l’intero menù, una serie di piatti elaborati con tanti ingredienti, dove si perde a volte il senso del costrutto e ci si domanda del perchè di tanta fatica. Lungo il percorso le cose migliori ci sono sembrate il buon pane, un ottimo agnello e il finale dolce.
L’Hotel de la Ville è ben noto, da tanti anni, agli appassionati e cultori del bel vivere e delle buone maniere. Un raro esempio per continuità e capacità di mantenere sempre alto il livello nel mondo dell’Hotellerie dove spesso gli alti si alternano ai bassi momenti. La prima cosa che colpisce è forse la cura maniacale dell’arredo in perfetto stile british, ma bastano poche ore per capire che la vera differenza la fa il personale: gentile cortese e preparato come è raro vedere in giro. Il merito di tutto è della regia, dei due fratelli Luigi e Tany, che in perfetta simbiosi hanno apportato il primo l’organizzazione e la gestione corretta, il secondo la creatività e le relazioni con mezzo mondo (quello che conta). Non ultimo è l’attenzione alla ristorazione. La prima colazione da anni viene citata tra le migliori in giro, e quelle del Derby grill ha sempre mantenuto un livello più che accettabile. Da qualche mese è arrivata la veranda, che dà spazio e respiro sia alla cucina che alle ambizioni. E ci godiamo una cena ben fatta, senza astrusità che stonerebbero, coerente nello stile, ben servita senza capriole ma anche senza cadute, con una serie di piatti rassicuranti e godibili. A sensazione nulla da ridire, ma forse gradiremmo l’aplomb inglese ravvivato da qualche pizzico di vivacità giocosa, Eleven Madison insegna.
Tre Cristi e siamo, se non ci sbagliamo, a tre chef. Tutti bravi o molto bravi (pensiamo al primo, a Paolo Lopriore), segno che il locale nei cambiamenti ha sempre mantenuto un buon livello. Da qualche mese è qui Franco Aliberti, cresciuto a San Patrignano e poi in giro per l’Italia, sceso a valle dalla sua ultima esperienza in Valtellina. Nasce come chef patissier, (e in effetti anche qui il finale è interessante seppur giocato sugli stessi ingredienti), ma con talento curioso e aperto ad altri fronti. Ed infatti si destreggia e bene proponendo con coraggio un menù imperniato su ingredienti cosiddetti poveri, realizzato con grande coerenza, affiancato da un buon pane, da tanto burro, con il salmerino come piatto migliore e gli spaghettoni al pomodoro come il meno convincente. Da segnalare anche i due curiosi menù, il primo “In Città” quartiere per quartiere, il secondo “A due passi da Milano” che due passi poi non sono visto che ci si allontana anche di 200 km. Ultima annotazione: ci sembra felice il connubio, tra Franco in cucina simpatico e un pò scanzonato con la solarità del sud, e Monica Angeli in sala precisa e di efficienza austrungarica.
Fenomenale questo Chang Liu appena trentenne, con alle spalle espereinza al Noma e da Yoshi, il bravissimo sous chef di Bottura che poi sì ha aperto il suo ristorante a Milano. Serica, seta in latino, ricorda appunto la via della seta e della contaminazione tra occidente ed oriente. Ed è stato un ottimo percorso quello che Chang Liu ci ha proposto, con una serie di piatti molto interessanti ben ideati e soprattutto equilibrati, cosa che nel genere fusion è spesso rara a vedere. Già dagli stuzzichini iniziali, dove c’è un uovo marinato da applausi, si capisce che sarà un’ottima cena. E poi una lunga avventura dove si mescolano e si alternano ingredienti vicini e lontani, con soluzioni che dimostrano ampie vedute e grande capacità di sintesi, sia nell’apparentemente semplice (pensiamo all’ottima piadina e al delicato brodo con bambù, sia nelle soluzioni più complesse come l’ostrica e il black cod. Qua e là spunti classici (il piccione) spunti originali (gli spaghetti granchio e zenzero e lo strudel liquido) non fanno mai calare attenzione e tensione. Qualcosa di meno riuscito? Secondo noi il pane fritto con caponata, il wonton che vuole ricordare (ma non ci riesce) i nostri tortellini, l’animella troppo succulenta. Ma Chang fino in fondo stupisce, con il gelato di patata arrosto che segna un altro punto a suo favore. Complimenti a lui, alla brigata dove segnaliamo la giovanissima Francesca Seletti, e complimenti a chi l’ha scelto: Mauro Yap, seconda generazione di cinesi in Italia, con la famiglia consolidata nella ristorazione milanese, alla sua prima avventura insolitario. Bravo anche l’esperto Alfonso Bonvini in sala.
Un bel ristorante chiaro e pulito poco distante dallo svincolo della superstrada e quindi di comodo passaggio. E’ alla base di un business hotel ed offre anche una più semplice alternativa con un moderno bistrot. Qui siamo nello spazio più ambizioso, dove l’arredo è in stile, curato ed elegante, con anche un funzionale privè. In cucina è il giovane Antonio Pepe, arrivato qui dopo varie costruttive esperienze, e propone la sua cucina che è sicuramente contemporanea e curata. E’ stato un pranzo veloce e quindi troppo poco per dare un giudizio valido. Antonio è sicuramente capace, gli stuzzichini iniziali ben fatti, come anche il percorso successivo, ma ameremmo trovare in queste occasione almeno un piatto che lasciasse il segno. Speriamo la prossima volta.
10 anni di Officine Farneto, la nostra location preferita per i nostri eventi ormai da tanti anni. Un bellissimo allestimento con luci ad effetto e uno spettacolare tavolo lungo il soppalco per 150 persone hanno dato lustro alla bella serata, impreziosita da spettacoli, acrobati, musica dal vivo. Buffet elegante di palombini e vini di Masi. Ringraziamo Paolo e Claudio Compagnucci per l’invito e per come curano da vicino questa importante struttura.
Nuova curiosa e importante novità. La dobbiamo alle capacità imprenditoriali di Roberto Astuni, un albergatore che non si ferma mai, e a quelle tecniche di Riccardo Antoniolo, talebano del lievito, che si è fatto ben conoscere con l’800 a Bassano. Qui siamo poco distanti in quello che presto sarà un nuovo piccolo e piacevole albergo curato a puntino al centro di Pove. Un bistrot dove la pizza è al centro della scena, coniugata in tanti modi, con differenti percorsi, lievitazioni e con chiare ambizioni di proporre un qualcosa di differente dal solito. Roberto d’altronde oltre alla passione per i dolci, per il pane e per i lieviti, si destreggia bene anche in cucina e le sue soluzioni sono interessante. Potremmo dire pizza con cucina e ottimi ingredienti, che alla prima impressione funziona, nonostante fossimo in una specie di serata di prova, in compagnia di amici e, cosa singolare, produttori di vini PIWI già incontrati a Merano, e la presenza di un caro amico: Gianni Capovilla, re dei distillati. Impegnativo ma buono il percorso proposto con tutte le pizze di livello con la vertice, per noi, quella al radicchio e musetto. Unica osservazione, il menù di sembra un pò troppo didattico e articolato, forse sarebbe meglio proporlo in veste più semplice e diretta.
Mancavamo da venti anni, ed è un piacere ritornare a trovare il grande Gianni Capovilla, il migliore dei nostri distillatori, tra i migliori del mondo. Non ha mai tradito le sue idee e radici: solo frutta, quella più vera e migliore, meglio se di tipologie antiche, solo uva e vino, solo i migliori ingredienti di base per fare grandi distillati e rum. Il suo nome è forse più conosciuto all’estero che in Italia e si pone accanto, se non sopra, a quel manipolo di distillatori austriaci e tedeschi che rappresentano l’elite mondiale del settore. Abbiasmo iniziato la giornata al mattino con un brindisi di distillato al lampone, non ci poteva essere modo migliore. Grande Capovilla!
Palazzo Montemartini, il bell’albergo Ragosta, diventa il primo Radisson Collection d’Italia. Un bel segno per questa piazza e per la città. Per inciso notiamo che piazza dei Cinquecento, cioè piazza della stazione Termini, ora vanta ben due brand “collection”, l’NH e questo nuovo Radisson, e ben due musei come Palazzo Massimo e le Terme di Diocleziano. Crediamo che nessuna Stazione al mondo sia messa meglio, Presentazione fatta con indubbio sfarzo, non facendosi mancare niente in fatto di luci, musica e sensazioni. Tra queste anche quelle gastronomiche affidate a Simone Strano, dall’accento orgogliosamente siciliano (ottimi gli arancini e delicati i ravioli di guancia). Complimenti a tutto il personale cortes e gentile che ha ben convogliato nei vari spazi le centinaia di ospiti, al bravo Direttore, e ringraziamo Lucilla per l’invito.