Raffaele Borriello, direttore Ismea e Mauro Rosati direttore Qualivita hanno presentato all’Hotel Quirinale i numeri dell’Agroalimentare Italiano. Numeri che sono positivi, il sistema delle denominazioni territoriali funziona. La domanda ovvia è se potrebbe funzionare meglio . Sembrerebbe di sì, soprattutto se si guarda la distribuzione regionale. Sono centinaia (per numero siamo primi al mondo), ma quelle che fanno fatturato sono tutte al nord. E pensare che per molti è il sud, la terra del sole, del mare, il cuore agricolo dell’Italia. Siamo pieni di ricchezze gastronomiche ma per export siamo secondi, anche in questo settore, alla Germania che per molti produce solo tecnologia. Il dato positivo, che apre alla fiducia e alla speranza, è che molti giovani sono tornati sui campi e saranno loro i protagonisti del futuro della nostra Agricoltura.
Redazione Witaly
L’accordo tra i Bulgari Hotels e Niko Romito potrebbe, in prospettiva, essere forse l’iniziativa più importante per il fine dining italiano internazionale. Dopo una stasi di due tre anni si è avviata una nuova fase di investimenti per cui il numero degli alberghi in giro per il mondo dovrebbe raddoppiare, e con esso i ristoranti di Niko Romito con il quale l’iconica catena ha stretto una alleanza speriamo di successo e duratura. I matrimoni funzionano quando ambedue le parti ci guadagnano, e se da una parte Niko ha la possibilità di far crescere esponenzialmente la sua attività e di sfruttare un nome prestigioso come quello di Bulgari e LVMH (la holding), anche la catena alberghiera può contare su un formidabile chef imprenditore che in pochi anni ha saputo, dal paesello natio di Rivisondoli, farsi conoscere al mondo intero della ristorazione che conta. Abbiamo sempre creduto in lui fin dall’inizio, ma di certo tanta e tale crescita non l’avremmo mai immaginata. Non ci dilunghiamo oltre nel decantarne le tante qualità, e vediamo più da vicino il suo ultimo, al momento, ristorante Bulgari, che viene dopo Pechino Shanghai e Dubai. L’impostazione ovviamente è similare, l’antipasto affidato alla serie “antipasto all’italiana”, e tra i piatti si ritrovano alcuni passaggi tipici. A noi piace il suo stile, la ricerca del sapore “assoluto”, puntando alla concentrazione dell’elemento in oggetto, alla pulizia estetica, che diventa pura per sottrazione, ma che non è mai banale: vai a vedere da vicino e c’è una goccia, un’essenza, una polvere, un qualcosa che fa la differenza. Il Bulgari di Milano ha sempre avuto una grande Direzione, un ottimo servizio, una bar straordinario. Ora avrà anche un gran ristorante, ne siamo certi, anche se, essendo ancora nel suo primo rodaggio, qualche cosa è da mettere a punto: la spigola un pò troppo cotta e coperta, ai tortelli di ricotta manca uno spunto acido che troviamo invece , pure troppo, negli spaghetti al pomodoro. Ma la ventresca è già sublime, i ravioli e il risotto fanno a gara nei sapori nobili e anche le carni ci sembrano cntnrate. Mancava alla nsotra cena la brava Anca Elena Buric, al bar e in sala Patrick Greco, in cucina il bravo e attento Claudio Catino (conosciuto da Berton).
I bravi, amici e colleghi, Stefania e Simone Rossi, ci portano in questo nuovo locale appena fuori dal centro. Una struttura ben visibile, che si vede da lontano e che anche dentro si conferma luminosa e piacevole. Una serie di semplici tavoli in legno, quasi un monocolore bianco, fa da contorno ad una cucina completamente a vista posta al centro della sala. Una scelta coraggiosa che fa presagire impegno e trasparenza. Titolari due fratelli giovani: Giovanni e Luca Caputo, con Luca presente coadiuvato dalla compagna Viola Tomassoni e dalla brava sommelier Marisa Mastrosimone. La cucina vede come consulente (nel gruppo ci sono altri locali) l’esperto Fabio Molinari, ben noto per il suo Tamata all’Elba, ora chiuso. E in cucina opera il giovane Giulio Ciliani con Lorenzo Ciardulli, Kran ed Alessio Monottoli ai dolci. C’è un buon lavoro di squadra che traspare da una carta abbastanza impegnativa, da una cantina in crescita con numerose presenze di vini naturali, dal pane e dalla pasticcieria fatta in casa, dai vari e buoni stuzzichini. La cucina nutre ambizioni, propone ricette molto costruite che non sempre centrano il bersaglio dell’armonia e dell’equilibrio. Ci hanno convinto di più gli antipasti, specie lo sgombro e l’anguilla, e soprattutto i dessert buoni leggeri e gustosi. Meno i primi, dagli scivolosi spaghetti alle cozze agli gnocchi di pesante fattura. Ma i mesi di vita sono ancora pochi, ed è indubbia la passione e la voglia di fare che fa ben promettere.
Esiste da poco, ma ci sembra l’indirizzo più interessante di una città che dopo una lunga stasi (gastronomica) sembra mettersi in movimento. Alla guida due professionisti esperti come Paolo Baldelli (sui prodotti alimentari) e Antonio Boco (esperto di vino). Hanno ripreso l’antica sede della Birreria Umbra, appunto una società anonima di quei tempi e ripreso a fare anche una buona birra artigianale (anche se la cosa ormai fa poca notizia). Interessante l’approccio al vino: ogni tanto si acquista una vasca di vino (di qualità) sfuso e quando si finisce si cambia il fornitore. Ma al bar il giovane Stefano Cimicata, ben guidato dai titolari, si destreggia tra birra e vini, infilando dentro anche il bere miscelato. L’ambiente è lungo, semplice, ma ben arredato fedele all’immagine di locale alternativo, i cibi scritti sulla lavagna, il prezzo da applauso (menù degustazioni a 30 e 40 euro). E la cucina è tutt’altro che banale, affidata a due giovani come Luca Uggioni e Giorgio Enrico, che lavorano in piena vista nel loro cubo trasparente. Durante la nostra visita Luca non c’era, ma Giorgio, che per altro ha molto viaggiato per l’Europa, ci ha proposto una serie di assaggi interessanti, leggeri, sfiziosi che fanno ben sperare. Certo, c’è qualche fermentazione di troppo, qualche imprecisione nella panatura, e il branzino era un pò coperto dal contesto. Ma la mano c’è, la tecnica e le idee non mancano, devono solo trovare la loro giusta evoluzione ed equilibrio. Da ritornarci per vederne l’evoluzione.
Filo D’Olio a Ponte Valleceppi
Un comodo casale poco distante dall’uscita della superstrada (Ponte Valleceppi) si fa di sicuro ben volere in stagione quando l’ampio giardino esterno viene attrezzato con barbecue, verande e relax. Ma anche dentro è funzionale con un’ampia sala che ci era stata segnalata da Isolmant come buon esempio di benessere acustico, e una cucina dotata anche di forno a legna per la (buona) pizza serale. Alla guida due fratelli ben assortiti, Lui Luigi è in sala, ha l’occhio attento e professionalità affinata sul campo, Lei Rachele è in cucina e si fa apprezzare per una linea di sostanza, che cerca di conciliare il territorio adottivo (quello umbro) con il territorio di provenienza (quello siciliano). C’è voglia di fare, c’è voglia di porsi i problemi di come accogliere la clientela e migliorarsi. Si apprezza già un buon equilibrio per quanto riguarda i prezzi e quanto offerto, si avverte lo sforzo nel cercare di proporre ricette non frettolose nonostante l’alto numero di coperti, poi all’atto pratico non manca qualche sbavatura e imprecisione (nelle cotture, nel condimento ridondante, nella presentazione approssimata), ma stiamo parlando di un locale che cerca di soddisfare famiglie, ragazzi e meno giovani e ci riesce con lodevole continuità.
Osteria Del Posto a Corciano
L’Osteria del Posto è un locale veramente gradevole e accogliente dove Alessandro Casciola, il titolare, mette subito a proprio agio il cliente che si trova in un ambiente ben arredato, ben illuminato, caratterizzato dal lungo bancone che permette anche di mangiare, peccato solo che gli sgabelli siano un pò bassi (o il bancone alto, scegliete voi). Alessandro viene dal mondo del vino e la competenza è assicurata, mentre in cucina si muove una brigata fiovane guidata da Valentina poco più che trentenne. La voglia di fare c’è, c’è anche il coraggio di cercare di uscire dai piatti scontati, e c’è quindi da lodare e incoraggiare il lavoro svolto. A volte la ricetta sembra un pò la sommatoria dei vari elementi (vedi l’uovo morbido), a volte c’è troppa ridondanza (vedi la faraona) ma a volte il piatto è interessante ed originale (vedi i tortelli). Ed alla fine, confortati anche dal buon prezzo e dall’accoglienza, si lascia il locale con la voglia di tornare.
Siamo in un albergo di grande eleganza e respiro internazionale con una serie di spazi comuni che offrono grande confort dalla colazione al mattino all’ampia area benessere. Ed è sul tetto l’ultima sorpresa: un american bar con possibilità di una carta leggera e accanto un ristorante (La Terrazza) per il cliente più esigente. E a questi tavoli molto frequentati intorno a noi vediamo una clientela (anche milanese!) che ben apprezza la linea di cucina proposta: piatti che seguono un’impostazione classica, lasciando grande spazio ai sapori, alla succulenza, al pesce. L’ottimo servizio completa il quadro dimostrando anche una notevole conoscenza di etichette particolari e a volte perfino curiose, d’altronde oltre l’esperto Stefano Parenzi c’è la sommelier Valentina Bertini, premiata dalla guida Espresso come miglior sommelier. Dietro questa potente macchina ci sono i fratelli Cerea, come a dire la più formidabile famiglia della ristorazione italiana che quando si impegna praticamente non sbaglia mai. E anche noi ci godiamo la cucina dei due giovani fratelli Lebano, ammirandone il grande lavoro di base, la capacità tecnica che esprime il lungo menù e che finisce con una serie di dessert di ottima fattura (passticciere Francesco Gatti). Qualche piccolo appunto va forse a favore dell’inserimento di qualche piatto vegetariano in più e all’allegerimento di qualche piatto a volte un pò ridondante.
Cambiano gli chef, ma Pipero rimane Pipero. E questo è un bel segnale, a testimoniare che la continuità non viene data solo dallo chef, ma anche dalla sala. E’ lui che ha dato il nome al ristorante, è lui che ci mette la faccia e anche il rischio dell’imprenditore. Ed è lui il primo a sapere che la sala può essere importante, ma non è tutto. Ed infatti ha sempre saputo scegliere i suoi cuochi: giovanissimi, simpatici, come in questo caso. Al posto di Luciano ecco Ciro, a noi particolarmente caro. Ha vinto tre anni fa Emergente Chef ed è rimasto sempre legato alla nostra competizione. Arrivato in estate da Pipero ora è subentrato a tutti gli effetti. Il risultato lo sapevamo prima ancora di varcare la soglia: Pipero non si sbaglia, ha sempre avuto talenti veri sotto di sè e questa volta è andato perfino nel sicuro senza praticamente rischiare. Ciro lo conosceva bene, e infatti a soli pochi mesi dal cambio, il ristorante sembra funzionare come una macchina perfettamente oliata. Il menù varia con sapienza, tra ingredienti nobili e meno nobili, tra terra e mare, miscelando note golose (ceci funghi e nocciole) note affumicate (la tartare) la giocosità (la mozzarella) la succulenza (la genovese di polpo). Il tutto accompagnato da un ottimo pane, da un servizio che fa da esempio. E alla fine pure i dessert non deludono. Morale: Pipero rimane una solida certezza. con una cucina ancora una volta adeguata al contesto, con l’unico appunto dei pochi rimandi al territorio di appartenenza (nel menù degustazione dove non c’erano praticamente i primi, mentre alla carta non macano alcuni classici), e del poco spazio lasciato all’azzardo: ci piacerebbe non sempre, ma ogni tanto, con giudizio, magari osare di più.
Secondo Atto: dopo il pranzo con i bisognosi a Santa Giacinta lo stesso menù viene replicato a Villa Glori per i sostenitori della Caritas e per gli auguri di Natale. Rigraziamo quindi due volte gli chef: Stefano Marzetti del Mirabelle, Gianfranco Pascucci del Porticciolo, Sandro Serva de La Trota, Oliver GLowig de La Barrique, Giuseppe Di Iorio di Aroma. Con loro i vini de La Famiglia Cotarella e Poggio alle Volpi, in una serata serena contornata dai sorrisi dei bravissimi ragazzi dell’Istituto Artusi coordinati da Enrico Camelio che hanno serviti i commensali. Sono serate che ti rimettono la pace addosso.