Ci siamo divertiti, lo confesso, alla Prova del Cuoco. E se siamo stati indubbiamente indulgenti è perchè fare due ricette in venti minuti e veramente un’impresa. Ma è stato interessante seguire il montaggio meticoloso dei tempi e, per noi che pure ne facciamo tanti, è anche istruttivo. La settimana è volata via, ci ritorneremo, forse, comunque un’esperienza che non rimpiango.
Redazione Witaly
Dopo tantissime nonne, molte madri, ecco apparire le zie. A loro è dedicato questo piacevolissimo locale vicino a piazza San Cosimato a Trastevere ed il merito va ad una coppia deliziosa: Lei più riservata accoglie con garbo in sala, lui è decisamente più estroverso ma normalmente non si vede essendo il cuoco, per giunta la cucina è al piano di sotto. Atmosfera studiata, illuminazione corretta, il sonoro un pò di meno, ma in genere la clientela è del genere mano nella mano, quindi si rimane sul tranquillo (noi siamo stati meno fortunati). Lei porge il menù con un’eleganza sussurrata, Lui si esprime con piatti di tutt’altro impatto. Anni passati in giro per posti improtanti e per ultimo quelli con Anthony Genovese, dal quale ha appreso che la cucina si affronta con preparazione sofferta, con una varietà importante di ingredienti, una visione ampia di equilibri e contaminazioni. Insomma un cammino non proprio semplice, più verso il barocco che il minimalismo. Cucine che richiedono mani esperte e dobbiamo dire che Antonio ce la mette tutta e i risultati si vedono perchè il menù scorre sul tavolo dando segnali di eleganza e capacità. Buone e tecnica la parte iniziale, corretti gli antipasti con le animelle in evidenza, poi sempre in evidenza la buona anatra e i dessert del bravo pasticciere Cristian Marasca. Le perplesstà maggiori nascono dai due primi, sballati secondo noi per vari motivi: due paste ripiene, due paste confuse dove si fa fatica a discenrere il riipieno. Sono aperti da poco più di due mesi e quindi non vorremmo sembrare severi, anzi c’è solo da applaudire il coraggio, l’indubbia capacità evidenziata e aggiungiamo, la simpatia di questa coppia così ben assortita dove uno sembra veramente integrare l’altro.
Ce lo ricordiamo da tempo, dal primo Pipero, quello di Albano e poi ad Emergente Chef dove fece un’ottima figura (era il 2009!). Poi l’avevamo perso di vista e ora lo ritroviamo nel centro storico di Viterbo dove per la prima volta si presenta con un suo ristorante. Viterbo è una bellissima città, ha sempre avuto una buona ristorazione media, ma da quando ha chiuso La Torre (da qualche anno trasferitasi a Roma) non ha più avuto un ristorante di riferimento gastronomico. Ci prova Danilo e lo fa con il piede giusto, cioè con molta umiltà, sia per l’ambiente semplicissimo, quasi basico, con delle luci un pò troppo diffuse che speriamo vengano cambiate e sia con un menù di grande correttezza. C’è una linea tradizionale, c’è una linea più estrosa, ma ambedue vengono proposte senza velleità fuori di luogo. In cucina come in sala sono solo in due e quindi giudiziosamente non si esagera nella complicazione delle ricette, non si inseguono chimere estetiche che sarebbe poi difficile mantenere quando i tavoli sono pieni. Si dà la priorità al gusto e dobbiamo dire che Danilo il palato ce l’ha, raramente sbaglia, c’è qua e là qualche condimento di troppo, e a volte frettolosità negli assemblaggi. Ma ripetiamo, sono in due in cucina e ci piacerebbe vedere dove arriverà quando, con il successo che gli auguriamo, si potrà permettere la brigata che merita. Le cose migliori? I due antipasti, passando dal sensazionale tortino di cipolla di invadente potenza e sfumatura dolce, ad una leggera acquacotta con la sua chiusura di erbe amare a pulire il palato. Una bella sequenza davvero!
La famiglia Polzella è decisamente notevole. Sono arrivati qua dalla provincia di Benevento e piano piano hanno costruito una solida attività: albergo con due file di camere ospitali e gradevoli, un ristorante di buona cucina di mare dove la moglie di Antonio prepara i dolci e la sorella dirige con mano sicura, una pizzeria della quale parliamo. Non solo pizza: il Papà cura i campi (di proprietà) uliveti e seminativi, si raccoglie il grano (ed altri cereali), vagliatura a mano ed il mulino di casa prepara le farine. Ce n’è per tutti i gusti, fini e integrali, gluten free ecc.. e ci sono più forni proprio per fare le cose in regola. Antonio sta dietro a tutto questo settore con occhio esperto e tanta passione. Anche sui podotti c’è ricerca come per i vini e le birre, tutte toscane artigianali. Insomma è una pizzeria che non passa inosservata, anche per l’impegno (da prendere ad esempio) che mette nella comunicazione. Si stampa un piccolo giornale in casa, con le notizie sul territorio e sulle varie attività in essere, e lungo le pareti del locale si racconta la storia della famiglia: dalle foto della precedente generazione alle imprese di quella attuale. Bravo Antonio! Per ultimo le pizze, sono buone, ovviamente, con quella gluten free in evidenza.
Siamo sul podio della critica mondiale, al numero 3 secondo i 50 Best. Il Mirazur ci accoglie in una solare e calda giornata estiva con grande naturalezza e semplicità, come un ristorante qualsiasi, ma di sicuro si avverte la professionalità nella brigata di sala e una calda accoglienza, merito forse anche della forte presenza di personale italiano che cerca di metterti a proprio agio. D’altronde il Mirazur è la prima casa oltre confine a meno di cento metri dall’Italia. Conosciamo da tanti anni Mauro Colagreco e la sua cucina, che abbiamo visto evolvere nel tempo. All’inizio molto francese come stile con qualche divagazione sudamericana. Ora decisamente più mediterraneee con qualche rimando all’Italia, ma di sicuro la vera svolta è verso il vegetale. Intorno infatti è cresciuto l’orto, anzi due. Al primo, quello che già conoscevamo, sotto il locale fino al bordo della ferrovia, se n’è aggiunto un altro più grande e composito con anche qualche animale da cortile, in alto verso la montagna. Si coltiva un pò d tutto con grande attenzione anche se non c’è la minima ricerca dell’estetica, a vantaggio della spontaneità della natura. E il raccolto quotidiano è alla base di ogni menù proposto. La lettura dei piatti viene scandita dai prodotti in stagione, così nel nostro caso cucurbitacee e in particolare i cetrioli l’hanno fatto un pò da padrone. E non che il menù sia solamente vegetariano: il pesce è spesso presente (in fin dei conti il mare è poco sotto il locale), e anche la carne fa capolino. Ma anche in questi casi il vero protagonista rimane l’orto: pensiamo al rombo messo nell’angolo dalla forza dei peperoni grigliati, e all’agnello di Sisteron pallido ed evanescente rispetto alla salsa alla menta che viene aggiunta. Una cucina quindi volutamente sbilanciata verso il green che mostra notevole creatività nel coniugare le materie prime, spesso ripetitive, a disposizione, e che si segue con grande interesse dall’inizio alla fine. E sono proprio questi momenti quelli che più ci sono piaciuti (gli ottimi stuzzichini iniziali, l’elegante capraccio di albicocca, il bonbon di gamberi di Sanremo e petali da una parte e gli ottimi dessert finali). Ma una citazione se la merita il semplice pomodoro grigliato e l’ottimo guazzetto di patate colorate. Complimenti quindi a tutta la brigata di sala e di cucina e ai tanti giovani italiani che qui hanno l’occasione di confrontarsi con una clientela importante e internazionale in un locale sempre pieno a pranzo come a sera.
Una straordinaria giornata di sole pieno che sembrava Ferragosto ci ha accolto a Falesco. E’l’annuale festa della vendemmia, ma quest’anno ha una valenza maggiore: si inaugura il Tellus che si coniuga su tanti aspetti, dal destinare parte del ricavato della vendita delle bottiglie della linea Tellus alla beneficenza, all’azione rivolta verso i bambini al fine di educarli a conoscere, amare, rispettare la campagna con i suoi prodotti e valori sociali. Un nutrito gruppo di importanti relatori ne presenta i differrenti accenti e finalità, poi una visita alla fattoria didattica ed il festoso pranzo nello spiazzo di fronte. La famiglia Cotarella sembra occupare una posizione sempre più importante nel panorama enologico italiano, non solo per i suoi ottimi vini, ma anche per l’instancabile azione su più fronti ai fini sociali e formativi. Complimenti al solito alle tre instancabili donne Dominga, Marta ed Enrica, sempre attivissime e unite tra loro, ed è la coesione alla base del loro successo.
Franco Roi, con il figlio Paolo, ci dimostra ogni volta che quando c’è la creatività e ci sono le idee, si riesce a smuovere qualsiasi cosa, anche mercati consolidati e apparentemente statici come quello dell’olio d’oliva. Con altri amici si sono inventati per l’appunto il gin alle olive taggiasche. Non deve essere stato facile, ma alla fine, dopo alcuni tentativi ecco un nuovo e ottimo distillato, ben bilanciato nella sua entrata classica al ginepro con un retrogusto finale dove appare in perfetto equilibrio la nota dell’oliva taggiasca. Non è solo uno sfizio, ma la chiave per entrare in nuovi mercati, per allargare l’interesse e la curiosità del pubblico verso l’oliva taggiasca. Complimenti a Franco e al suo figlio Paolo che in prima persona è coinvolto.
E’ un investimento importante, fatto da Santa Margherita all’ingresso del Chianti Classico, e concepito come appoggio funzioanle delle aziende toscane (Lamole di Lamole e Vistarenni) con anche ristorazione e sala eventi per le presentazioni dei suoi vini. Il ristorante, moderno e con il bel nome di Vitique, è anche vetrina dei vini di tutte le tenute del gruppo e di prodotti alimentari selezionati. In sala due giovani come Riccardo Vivarelli e Alessio Mori, ed anche la cucina è affidata a due giovani Dario Nenci (presente durante la ns visita) e Daniele Rossi. Anche la proprietà è giovane: Alessandro Marzotto con il quale dividiamo la tavola e che ci illustra le strategie del gruppo che negli ultimi anni ha avuto una fortissima crescita, grazie molto alle linee del prosecco e del pinot grigio, ma un pò tutte le aziende hanno avuto uno sviluppo positivo. Il tutto senza dimenticare la ristorazione, sia come clientela ottimale e sia anche con questo investimento diretto. La sala è bella, moderna e pulita, il Kettmeir rosato un ottimo spumante, e i piatti arrivano veloci. Per un bistrot senza eccessive pretese, ci sembrano gradevoli e ben presentati. Il migliore ci è sembrato la tartare di ombrina, meno convincente un’animella un pò troppo al rosa.
Ultimo post su Meditaggiasca, ma poteva essere il primo. E’ la festa dell’oliva taggiasca ed ovviamente è la festa dei produttori. Sono loro in fondo i veri protagonisti che ringraziamo. Ci hanno fornito olio ed olive per il nostro show, ci hanno raccontato le loro storie, ci hanno mostrato i loro grandi prodotti. A tutti loro và il nostro ringraziamento ed in primis a Luciano Beranger presidente dell’Associazione Oro di Taggia e ad Eros Mammoliti presidente dell’Associazione Produttori Moscatello di Taggia. Ed infine i ringraziamenti finali a Chiara Cerri vicesindaco e a Mario Conio sindaco, una nuova amministrazione, per loro era la prima volta, e si sono prodigati oltre ogni aspettativa. Arrivederci a Meditaggiasca 2019!
Il complesso del Convento di San Domenico a Taggia che ospita l’evento colpisce per la serena bellezza ed armonia delle varie strutture, la sagoma del campanile che domina il bel chiostro, e la qualità degli spazi che gravitano intorno. Dentro la chiesa il ciclo pittorico dei quadri e affreschi è tra i più importanti di tutta la costa ligure nizzarda. Insomma è un piccolo (nemmeno tanto) capolavoro che ci ha allietato nei giorni dell’evento.