Il piccione più complicato della nostra vita è sicuramente quello servitoci in questo bel locale. Complicatissimo ma anche eccellente. Verrebbe se mai da chiedersi come mai il piccione, praticamente assente dal ricettario quotidiano, trovi nell’alta ristorazione una profonda venerazione. Non c’è stella michelin che praticamente non l’abbia in carta, cosa che non accade per quasi nessun altro genere di carne e non parliamo del pollo, che è forse l’ultimo nel cuore dei nostri chef. Ma torniamo al nostro piccione, che ci è stato servito in due portate, e questo ci sta, ma poi praticamente ogni portata era suddivisa in vari assaggi che se ne potevano fare uno o due menù quasi completi. Ma tutto veramente buono il che sta a testimoniare l’indubbia qualità della brigata, tra le migliori della Capitale, coordinata dall’esperto Angelo Troiani, con l’apporto essenziale del bravo Daniele Lippi. Ma anche prima del piccione tante cose buone, dal giocoso ed elegante inizio al topinambur alla giudia, un’altra perla della cena. Lode anche alla sala più elegante di prima, sia nell’arredo che nel servizio, e alla splendida carta dei vini. E, dopo tante lodi, qualche appunto critico: buoni, ma decisamente pesanti per il caldo afoso estivo di Roma i due primi (soprattutto il risotto) e un pò sottotono il finale dolce con un dessert a tre attori dove ognuno andava per la sua strada.
Redazione Witaly
Sorprende il locale di Daniela e Franco Franciosi (fratello e sorella) per gli ampi spazi, l’arredo lineare, la pulizia. Sembra quasi di stare nel Trentino, ma l’orto sul retro ci riporta ad Avezzano. Praticamente autodidatta con tanta passione e cultura Franco si è avvicinato solo negli ultimi anni alla ristorazione, ma poi l’ha presa sul serio e con impegno ha cercato di fare un locale professionale con una proposta attraente. Direi che l’impegno è ben ripagato dalla qualità del contesto e di quello che propone: una serie di piatti corretti, costruiti con semplicità quasi didascalica, che sarebbero ben oltre la sufficienza se non fosse per un livello di sapidità sopra la media. Si apprezza nel tutto la pulizia del piatto, il giusto dosaggio dei vari ingredienti, senza eccessi di manierismo e protagonismo. Manca ancora la corrispondenza con il territorio e i suoi tanti prodotti e forse una sua lettura fatta con maggiore originalità, rischiando magari di sbagliare ma guadagnando qualcosa a favore della spontaneità della proposta. In sintesi un locale già tutto da raccomandare, ma che forse ci potrà dare anche soddisfazioni maggiori. Ultima lode alla carta dei vini, o meglio agli appunti dei vini, tutta da leggere. In cucina con Franco è Francesco D’Alessandro già visto (e bene) ad Emergente, in sala con Daniela i giovani Paolo e Giovanna.
Franco Franciosi di Mammarossa ci racconta le vicende di questo territorio, dall’antico lago ai primi tentativi di gestirne le acque fatte dai Romani, alla sua definitiva scomparsa opera dei Torlonia, al terremoto che un secolo fa distrusse completamente la città azzerandone storia e cultura. Poi un lento recupero, una ripresa dovuta anche alla favorevole posizione geografica, ed ora la grande potenzialità di una campagna integra a 700 metri di altezza che fin dai tempi dei romani è nota per produrre grandi ortaggi e non solo. Luigi Pantoli, storico contadino, ci porta nel suo orto e ci racconta altri antiche aneddoti di unagricoltura che non c’è più. Ma con il buon senso e il rispetto della terra grandi prodotti si possono fare ancora.
L’Osteria è piccola, semplice con tavoli proprio da osteria. Però già si capisce dal servizio che c’è gente giovane e capace e quello che arriva in tavola è davvero sorprendente considerando che siamo in un piccolo borgo un pò sperduto sulle colline alte del Chianti. In cucina due giovani: Juan Quintero e Giulio Scarma, ambedue sotto i trentanni. E la loro cucina è davvero divertente: l’origine columbiana permette a Juan di affrontare i nostri prodotti con occhio distaccato e atteggiamento dissacrante. Così nascono soluzioni originali, che spesso centrano l’obiettivo e quindi dimostrano che c’è stoffa in questo ragazzo. Meglio il cuore di palma della melanzana un pò coperta, meglio la cruda di manzo del taco di mais, meglio i ravioli di anatra di un risotto un pò troppo lento, meglio il manzo di 90gg di frollatura del piccione al mole. Il tocco originale arriva pure ai dessert: il panforte di fegatini, il dumpling al sanguinaccio, la fettunta con gelato al miso. In sala come dicevamo è il giovane e sveglio Riccardo Maccioni. Unico grosso appunto è il menù, una serie di proposte poco comprensibili che poco lascia intravedere cosa poi arriverà sul tavolo, in compenso i prezzi sono più che corretti.
Un bellissimo borgo sulle colline alta di Radda acquisito da tanti anni ormai dalla famiglia Mascheroni Stianti che negli anni lo ha rimesso a nuovo (senza stravolgere anzi mantenendo la semplicità del contesto) e lo ha aperto all’ospitalità. Oltre alla cantina e al frantoio c’è anche l’Osteria (vedi post a parte) e la bottega del pane ed altri prodotti da assaggiare e comprare.
Bella la struttura come anche il ristorante gourmet, Il Pievano, che offre due soluzioni: le sale all’interno e in stagione la bella ed ampia corte a fianco della Pieve. Il menù è ambizioso ed articolato, ma la brigata di sala e cucina numerosa ed efficiente, guidata da Vincenzo Guarino, chef di consolidata professionalità. Ampia l’offerta che si dettaglia nei numerosi stuzzichini iniziali di benvenuto e nella varietà del pane, anche se più del pane ci sono piaciuti i dessert e la pasticceria finale. Di classe, leggeri ed eleganti i due antipasti, il riso pure secondo noi era particolarmente riuscito e nel campo delle lodi annoveriamo anche il buon piccione per altro di Laura Peri, come dire tra i migliori d’Italia. Nel complesso una cena ad alto livello se non fosse stato per due piatti che non ci hanno convinto: la pasta mista e il branzino, ambedue un pò soffocati da troppi ingredienti e ammorbiditi da un eccesso di spuma. Però è da ammirare nel complesso il lavoro di Vincenzo, che presiede anche l’altro ristorante più semplice, la pizzeria, le colazioni ed il room service di una struttura in genere quasi sempre piena e che si apre, con successo, anche alla clientela esterna. A completare il quadro positivo una brigata di sala efficiente e preparata.
Castello di Spaltenna a Gaiole
Si chiama Castello di Spaltenna ma in realtà era un monastero costruito intorno l’antica pieve. Un piccolo borgo molto bello in bella posizione dominante con un panorama sulle vigne e sulle colline intorno. Un posto dove rilassarsi godendo il verde dei prati, il benessere della spa e i sapori della cucina di Vincenzo Guarino.
Di passaggio a Modena, non c’è tempo per un pranzo all’Osteria Francescana, ma per fortuna c’è Da Panino, l’intelligente locale di Beppe Palmieri che in effetti ci accoglie e ci nutre con due bei panini. Prima di andar via un saluti al grande Massimo, non c’è, ma ci sono i suoi due alfieri. Vincere a Bilbao, in casa degli spagnoli! un’altra leggenda da raccontare.
La formula “50” sembra funzionare e così dopo 50 kalos ecco 50 panino, in attesa di 50 suites e dell’apertura a Trafalgar square di 50 kalos in versione londinese. L’imprenditore Alessandro Guglielmini, forte della professionalità consolidata di Ciro Salvo e di altri professionisti del settore, punta ad allargare l’orizzonte e la varietà dell’offerta. Questo 50 panino si distingue per le buone materie prime, per la valida selezione dei vini proposti, poi cerca di coniugare un pò troppe anime insieme, cercando di accontentare tutti, ma anche forse perdendo un pò d’identità strada facendo.
Si rinnova profondamente il Parker’s e in particolare all’ultimo piano quello dedicato alla ristorazione. Lo scopo ambito e trasparente è di farne il punto di riferimento del fine dining cittadino puntando a consolidare il forte legame con la città con un turismo crescente e sempre più esigente. Cucina e sala completamente ripensati con una cucina dentro compatta ma ben studiata e due grandi vetrate che la lasciano aprire verso l’esterno, mentre la sala si divide tra dentro e fuori, tra tavoli anche grandi eleganti e confortevoli e la schiera di tavolini all’esterno che godono di un panorama unico. E’ tutto già molto interessante, ma è tutto ancora in rodaggio, dal servizio di sala che si deve un pò sciogliere alla cucina di Domenico Candela, 32 anni con varie esperienze sulle spalle, molte anche in Francia, rientrato per l’occasione. Le ambizioni giustamente non mancano e la proposta indugia su ricette molto costruite con frequenti rimandi alla cucina d’oltralpe per impostazione e filosofia. Il menù che ci è stato dato ne mette in luce le doti tecniche, l’impegno e le qualità di una brigata che riesce già ad esprimersi in modo corale, ma ha ancora poca aderenza con il territorio e alla fine risulta troppo impegnativo anche nei piatti vegetariani, i due primi, che ridondano di sapidità. Ma lo chef ha appena iniziato il suo percorso, e parlando con lui si avverte una posatezza di base e probabilmente un buon carattere. Tutti doti necessarie per un progetto ambizioso e a lungo termine come quello impostato dalla proprietà. La parte migliore della cena: la serie iniziale degli stuzzichini, leggeri sfiziosi e di gran classe. L’area più carente è invece quella finale, ma ci risulta che siano alla ricerca di un responsabile della pasticceria.