La struttura si distingue per bellezza e funzionalità, ben collegata, a metà strada tra la stazione e il centro, rappresenta un punto comodo per visitare la bella città. Inoltre si mangia bene e si può anche scegliere tra il bel bistrot affacciato sulla Montagnola, dotato anche di forno a legna per la pizza, e la Bottega per dei piatti tradizionali con particolare riferimento alle paste fresche. C’è anche una sensazionale ghiacciaia per degustazioni e piccoli eventi, mentre per il ristorante classico è altrettanto bella la grande sala di quello che un tempo è stato un piccolo teatro. Insomma non mancano le alternative e la novità è il cambio di chef: da Agostino Iacobucci a Emanuele Petrosino. Cambia lo chef, cambia lo stile ma non la regione di riferimento che rimane la Campania. Però come dicevamo lo stile è ora profondamento diverso, più articolato ed elaborato, ricorda un pò quello di Nino Di Costanzo che per altro è lo chef dove Emanuele ha avuto la sua esperienza più significativa. Una cucina di grande lavoro, esteticamente raffinata, richiede alla birgata un grande dispendio di energie, ma spesso i risultati ripagano il grande lavoro profuso. Noi siamo stati bene, coccolati da un buon servizio, da abbinamenti interessanti di vini e con una serie di piatti belli da vedere e piacevoli da gustare. Manca ancora un pò di aderenza al territorio (ma bisogna anche dire che nella stessa struttura ci sono due altre alternative di ristorazione), c’è un utilizzo forse esagerato di ingredienti nobili, le verdure sono sempre presenti ma raramente protagoniste, il grande lavoro svolto a volte sembra un pò ridondante, però nel complesso abbiamo apprezzato il risultato finale. Soprattutto negli stuzzichini iniziali, nell’elegante insalata di mare, nei secondi e nei dessert, mentre ci sono piaciuti meno la faraona e i tortelli di ricotta.
Redazione Witaly
Adriano Aere titolare di Imperial da qualche tempo sta diversificando con successo. La sua Bottega, il format avviato in casa accanto all’albergo di proprietà, sta andando bene e prolifica in nuove sedi. Un buon segno: la pasta fresca tira e Bologna tradizionalmente ne è la capitale. Noi che siamo anziani ci ricordiamo di quando ci fermevamo alla Lamma in via dei Giudei, i tempi sono cambiati ed anche il format. Importante è che i tortellini si facciano ancora.
Mancavamo da tanti anni, da quando qui si fece conoscere un giovanissimo Rocco Iannone, che poi passò alla famiglia Ferrara la responsabilità in toto della cucina. Il posto è di grande charme in una posizione fantastica tra le migliori di tutta la costiera amalfitana, nel verde a picco sul mare. La struttura negli anni si è completata ed ora offre ristorazione per eventi al piano superiore, quello d’entrata, con la sua cucina indipendente, e ristorante gourmet al piano inferiore con un’altra bella cucina da poco finita. I due fratelli Ferrara, Pio (in sala) e Pierfranco (in cucina) si dividono i compiti e ora si fa largo la nuova generazione con il giovane Bonny, figlio di Pio che anima una giovanissima brigata di sala. Il servizio è attento e curato, la cucina segue un’impostazione classica, con rimandi alla Francia, ma sono rimandi in genere corretti e graditi (pensiamo all’ottimo piccione servito in due servizi, alla presenza continua delle ostriche del caviale e spesso del foie gras). Leggero e legato al territorio il percorso degli assaggi iniziali, decisamente gradevoli. Di grande impatto il servizio del pane, che è anche buono. Le notazioni sono soprattutto positive, allietate dal panorama e dai vini selezionati in abbinamento. Qualche osservazione è per il percorso gustativo che non segue sempre una logica di crescente gusto e complessisità. I piatti migliori? al già citato piccione affianchiamo il crudo di gamberi, forse un pò complicato, ma di ottimo gusto. Sul versante opposto meno convincente il troppo sesamo che copre il tonno, e anche lo scorfano viene sopraffatto dal contesto della panatura e della salsa.
Aqua rinfrescante e alla prima ondata di caldo è un piacere godersi un signor aperitivo in questo ampio locale alle spalle della Nuvola di Fuksas. Antonio Madonna è nato a Vico Equense, e con passione e impegno si sta facendo conoscere. Ha tanti esempi illustri nella sua terra di origine, le aspettative quindi sono d’obbligo.
Appena aperto e si fa già la fila per entrare, sia perchè i coperti sono indubbiamente limitati, sia per la curiosità che destano le nuove aperture, ma indubbiamente diamo atto a Federico Delmonte, tornato chef e patron dopo la sua prima esperienza giovanile nelle natie Marche, che ha azzeccato la formula. L’ambiente è moderno, semplice e corretto (unico difetto il livello sonoro), cucina come ormai tutti è a vista con un bel barbecue in evidenza, formula bistrò moderno con il pesce che domina e i prezzi calmierati anche perchè non si punta troppo su crostacei ed ostriche quanto, come il titolo suggerisce, sul pesce azzurro del Tirreno. Siamo all’inizio e le imperfezioni sono naturali (il ritmo troppo lento, il servizio un pò in affanno, anche perchè forse il pienone continuo non era stato preventivato), ma le premesse di un nuovo punto di cucina d’autore a Roma ci sono tutte. In evidenza tutta la prima parte del menù con una serie di assaggi di gran livello dove la materia prima viene superbamente esaltata con pochi tocchi e dove il crudo il marinato e il (poco) cotto (dello sgombro) sono di gran classe. Meno ci hanno convinto i primi un pò pesanti e pasticciati e il dolce finale buono ma non goloso come dovrebbe essere.
Questo locale merita un libro per quanto è ricco di storia, per i personaggi che lo hanno frequentato. Conosciuto con due nomi: Spagnuolo e Napoli, con due sedi, Castellammare e Roma, è stato a lungo il centro sociale della vita di questa cittadina grazie anche alla sua splendida posizione sul Lungomare e al bellissimo gazebo dove per anni si sono alternati i concerti. Ha rischiato di morire, finchè un gruppo di investitori locali, tra i quali l’eclettico e attivissimo Giuseppe Di Martino, ha deciso di resuscitarlo e ridarcelo rimesso a nuovo. Non solo all’esterno, ma anche dentro grazie ad un rinnovo delle attrezzature e del personale. Alla pasticcieria è ora Angelo Tramontano, fratello del noto chef stellato, che in pochi mesi è riuscito ad impostare una linea di dessert ben fatta e di qualità.
Dopo due passaggi veloci e due aperitivi, questa volta ci fermiamo a cena, pernottamento e prima colazione. Servizio completo per apprezzare questa bella Masseria appena fuori il casello di Ercolano sulle pendici del Vesuvio con bella vista sul golfo. Non è ancora finita, sono previste infatti una spa, la piscina ed altre camere, ma quello che c’è è già notevole ed apprezzabile, soprattutto il grande parco, l’orto, il frutteto che contribuiscono e non poco a fornire le tre attività di ristorazione: la trattoria tradizionale, la sala cerimonie e il ristorante gourmet. Una cucina solida e preparata fa fronte alle varie offerte, e anche il servizio di sala ci sembra meritevole. Quanto alla linea gourmet la degustazione ci è piaciuta abbastanza, buono soprattutto l’inizio con degli assaggi eleganti e sfiziosi (pensiamo alla cassuola di stocco) e alla fine con dei dessert leggeri e curati. Manca qualche nota più graffiante e schietta nella parte centrale, ma nel complesso questa Masseria ci sembra che meriti la sosta.
Una cantina sociale attiva e con una bella immagine quella di San Marzano che si presenta a Roma alla Rinascente. I vini sono accattivanti e la location ideale con una terrazza strepitosa che si affaccia sul centro storico. Serata dedicata soprattutto al Tramari, un rosato leggero ma non banale, elegante con chiusura un filo troppo dolce. Ci è piaciuto, in meglio, l’Edda, un vino bianco che non ti aspetti in Puglia, anche questo elegante con note aromatiche interessanti e buona struttura per finire con il possente primitivo 60 anni da uve ad alberello. In abbinamento le sfiziosità di Riccado Di Giacinto servite con puntualità e professionalità da una brava brigata di sala.
Forse per pigrizia dopo i tanti chilometri che facciamo in giro per l’Italia, ma fuori dal centro storico della Capitale ci avventuriamo di rado. Di locali e avventure all’Eur ne abbiamo viste comunque abbastanza negli ultimi anni senza rimanerne mai colpiti. Eppure è una parte della città alla quale non manca la clientela, sia quella degli uffici sia quella di una borghesia solida e agiata. Il Livello 1 si distingue perchè ci sembra un bel locale che speriamo riesca nel tempo ad affermarsi. Ha una solida impostazione: pescheria a fianco e bella sala moderna con la cucina a vista appena divisa da una bellissima vetrata con il motivo dell’acquario. Sia in sala che in cucina si muove un personale che sembra conoscere le regole, diviso in partite e non dove tutti fanno tutto come spesso accade. In cucina è Mirko Di Mattia, giovane, volenteroso, umile, ed è pure bravo nonostante sia praticamente un autodidatta. Non ce l’abbiamo con questa categoria, che sta anche aumentando negli ultimi tempi, ma siamo convinti che la gavetta, la scuola e le giuste esperienze siano un percorso normalmente imprescindibile. Però Mirko ha il senso della misura, di come si costruisce una ricetta e di come si arriva a dare un senso al piatto. Gli manca ancora la sicurezza, la personalità e un pò di originalità, e quindi tende ad affidare il suo percorso alla moda (black cod, plancton, aglio nero), è bravo ad unire il mare con l’orto, ma poi manca nel percorso un piatto vegetariano e uno dove il mare si senta per davvero o che comunqui sembri essere collegato alla bella mostra di pesce esposta. Ma nel complesso le sue ricette sono gradevoli con l’inizio al top: la pizza di seppia, e il finale da dimenticare (i dessert astrusi complicati e mediocri, come dire tanto lavoro per nulla).
Cena per beneficenza e raccogliere fondi per la formazione. Il luogo è particolare: l’Istituto Alberghiero professionale di Amatrice che ha sede provvisoria a Rieti in attesa della sede definitiva che sarà di nuovo ad Amatrice, (il bando è in corso). Dopo il terremoto abbiamo realizzato con l’aiuto dei fratelli Serva e di tanti altri una memorabile serie di cene alle quali sono intervenuti decine di chef di Rieti e di Roma e che culminò con la cena di Massimo Bottura, Carlo Cracco, Gennaro Esposito, Moreno Cedroni, Mauro Uliassi e i Fratelli Serva. Si raccolsero circa 70000 euro per l’acquisizione delle attrezzature dell’Istituto. Un quadro alla parete ricorda i protagonisti di allora. L’Associazione degli Ambasciatori del Gusto subito dopo propose una collaborazione con l’Istituto mettendo a disposzione alcuni nominativi di chef illustri ed in effetti durante l’ultimo anno si sono tenute qui lezioni importanti. L’ultima si deve a Cracco che per l’occasione ha proposto di chiudere l’anno di studi con una cena da realizzare appunto con i fratelli Serva, massima espressione della ristorazione del territorio. Eccoci quindi qui, in questo Istituto che accoglie oltre 100 studenti in tre anni di formazione al quale hanno anche aggiunto un quarto facoltativo. Ed è proprio a loro, che con Anna Fratini, brillante direttrice dell’Istituto, che consegniamo il diploma alla fine di una cena realizzata a più mani e abbinata ai vini del Lazio (Casale del Giglio) e di Allegrini partner del progetto. Un plauso particolare va anche a loro, chef famosi, che hanno dedicato non poco del loro prezioso tempo, per portare un importante messaggio a questi ragazzi.