E’ vero, a Pietrasanta ci sentiamo quasi sempre a nostro agio e sono tanti i locali attraenti. Sarà la magia di questo prezioso borgo toscano che respira l’arte a cielo aperto, ma ci ritroviamo spesso e volentieri a passeggiare per queste belle piccole vie affollate di scorci preziosi, di opere d’arte e anche di locali. Il nuovo Filippo Mud è un posto giusto, un locale pieno di cose pensate e ideate ad hoc, dall’accoglienza alle sedute, dal banco del bar all’illuminazione, dai carrelli di servizio alla affaccio sulla cucina a vista. C’è una mente pensante, quella di Filippo Di Bartola, vero uomo di sala, ristoratore doc. Una cena (o un pranzo) qui è un’esperienza, è vedere in funzione e vivere un progetto vero di sala moderna. Con Filippo in prima persona, o uno dei suoi bravi aiutanti, che ti coinvolge tramite tanti dettagli studiati: il coperto portato in un cestino da picnic, il pane e burro servito ad arte, gli stuzzichini iniziali raccontati, l’uovo montato nel pentolino al tavolo ecc… Il cliente insomma è coinvolto in più momenti e vive la tavola da protagonista attivo e non passivo. Brigata che ricordiamo: Davide Bresciani, Alessia Segatori, Maxim Burlacu, Christian Bellè, oltre ai due ragazzi al bar (vedi sotto la foto). La cucina potrebbe quasi passare per una volta in secondo piano, ma invece va citata perchè Diego Poli, il giovane chef, pur proveniendo dalla pasticcieria, si difende bene (soprattutto con gli antipasti). Ma indubbiamente il salto di qualità lo abbiamo ritrovato nei due buoni dessert che ci sono arrivati. E’ giovane con una brigata ancora più giovane e anche loro cresceranno.
Redazione Witaly
C’è grande fermento al Cibus, e in genere tanta soddisfazione. I numeri dell’agroalimentare italiano sono tutti positivi e l’ottimismo trapela in quasi ogni stand. L’agricoltura da cenerentola della nostra economia è diventata una locomotiva che sembra procedere sicura. Speriamo che continui e intanto brindiamo (con Pommery) nell’originale party di fine giornata di Olitalia (che si presenta con un nuovo look spigliato ed allegro delle sue linee di oli dedicati e gourmet) animato da Pasquale Torrente e da uno scatenato Cristiano Tomei.
Eravamo un pò prevenuti. Sapevamo che il cuoco era preparato, ma sapevamo anche che aveva curato ogni dettaglio, dai materiali dei vari ambienti, ai differenti stili e colori, dalla grafica ai titoli dei vari menù e piatti (tutti nomi di fantasia, e questo non è che ci piaccia tanto). Un locale poi aperto solo di sera e non la domenica pur essendo una Casa in campagna, intitolata per altro a nonna Dina. Eravamo insomma un pò prevenuti: ci sbagliavamo, per vari motivi. Lui, Alberto Gipponi, varie esperienze ma quella importante è un anno alla Francescana, è persona matura e non il giovane esuberante smanioso ed ambizioso che avevamo in mente. E’ maturo sia per l’età, ormai vicina ai 40 anni, sia per il retroterra culturale che lo anima. Ma il suo atteggiamento, pur se leggermente pesante e fin troppo minuzioso nel dettaglio didascalico delle presentazioni, è di disarmante semplicità e questo gli fa onore. Stiamo parlando di lui, e non dei piatti, perchè siamo di fronte ad un locale fortemente identatario dove la personalità del cuoco è immanente e veste qualsiasi cosa, anche le luci e le posate, la scritta di benvenuto e il sapone della toilette. Quasi non vorremmo, ma qualcosa sul cibo poi dobbiamo pure dire, perchè questo è un ristorante alla fin fine. E anche su questo versante Alberto è maturo, in grado di proporre piatti classici del territorio di ottima fattura, ma di certo ha la tendenza ad andare per la sua strada emozionale. E’ già un gigante sui brodi, di vario tipo, che lungo il percorso hanno inframezzato il menù. Ci è mancato solo l’ultimo, prima dei dessert, sostituito da un più pesante ma improbabile (per la posizione) risotto, mentre le note del balsamico rinfrescante sarebbero state coniugate meglio anche qui dal brodo, come filo conduttore. E’ bravo anche nell’armonia e negli equilibri delle composizioni prevalentemente vigetali come gli eleganti agretti e la sensazionale zuppetta servita nel thermos a bidoncino. Secondo noi deve ancora crescere nei piatti più complessi (vedi l’agnello e il fegato) e nei dessert, ma, diciamolo pure, qui c’è già tanta roba da far felice qualsiasi palato.
Il Giardino Segreto a Tarano
La Sabina bassa ci ha regalato una bella sorpresa a poca distanza dal casello di Ponzano Soratte alle porte di Roma nord. Un’azienda che è un piccolo gioiello curato con grande scrupolo da Barbara Pergolesi, aiutata anche dalla figlia Isabella Colonna. Qui da anni ci sono autentiche vacche chianine allevate con cura, e da qualche anno è stata introdotta anche la razza Wagyu. A contorno cavalli, maiali neri che vivono bradi e polli ruspanti. Insomma un allevamento vero, condotto con occhio talebano, senza concessioni facili e sbavature. Ora il progetto si è arricchito anche con un ristorante, aperto al momento per il fine settimana, dove è obbligatorio prenotare. Una struttura piacevole quadrata con all’interno un piccolo giardino, per l’appunto segreto, ecco il senso del nome. Dietro è una cucina ben attrezzata che si è avvalsa della consulenza dei fratelli Serva (La Trota di Rivodutri) che hanno suggerito in cucina come chef il giovane Fares Issa, origine siriana, ma da tanti anni in Italia, appassionato di cucina, che ha sposato con entusiasmo il progetto. La sua linea di cucina ci è piaciuta, ben orientata ovviamente sulla grande materia prima, la carne, che ha a disposizione, ma con una lavorazione non banale, anche perchè la bestia lui la deve utilizzare poi tutta quanta e non solo la pregiata costata (vedi gli ottimi hamburgher). Ma non è solo carne, il pane e la pasta sono fatti in casa, come anche i dessert. Insomma una cucina dove c’è un pensiero dietro, e non a caso a parte la carne il piatto migliore per noi è stato quello vegetariano: un’acqua cotta non canonica, ma buona, mentre migliorabile la sfera dove il pollo, di altissima qualità, alla fine ci è sembrato in secondo piano.
La Trota rappresenta un caso emblematico da osservare da vicino. Un’eccellenza fuori dalle rotte normali, che si evolve negli anni mantenendo salda la posizione. La novità è la seconda generazione, Amedeo e Michele, figli di Maurizio e Sandro e quindi cugini tra di loro, che sono sempre più presenti in sala. La famiglia quindi aumenta ed è prevedibile che ci saranno ulteriori evoluzioni. Ci abbiamo sempre mangiato bene, e la cucina è saldamente caratterizzata da alcuni punti fermi nel tempo: il pane ottimo declinato nelle varie forme, la gran selezione dei formaggi (questa volta con dei grandi caprini), l’attenzione ai dessert ed alle pralines finali, il pesce d’acqua dolce come motivo conduttore. Ed anche questa volta sono arrivate le puntuali conferme con il top toccato da una eccezionale anguilla laccata al miele, ma anche le rane e la quaglia spiccavano per indiscussa personalità. Meno ci sono piaciuti i tortelli con una lumaca caramellata in distonia. Ma nel complesso rimane sempre uno dei posti del cuore dove ci si ritorna sempre volentieri. Bravi i Serva ed ora vediamo cosa ci proporrà la nuova generazione.
Massimo Bottura presenta il suo libro a Napoli e poi poco distante eccoci a cenare in un ristorante un tempo famoso che di recente è stato rinnovato e riaperto. Una serie di saletta con forse un pò troppi tavoli e coperti conducono all’ultima saletta dove si affaccia anche la cucina. Dentro una giovane brigata condotta da Pasquale Cocozza e Antonio Prota, trentenni. Fuori all’accoglienza e al servizio Antonio Triunfo, figlio dei fondatori, che dà quindi continuità a questo nobile indirizzo, e Gaetano Russo. Sono occasioni dove è difficile giudicare, però registriamo con piacere questa riapertura di un locale che a fine dello scorso millennio ha dato tanto alla città.
E’ bella la Masseria di Giorgio Guida che domina Ercolano con vista che spazia fino a Napoli. Gli orti intorno conservano l’idea e il senso della Masseria, la cucina ha ambizioni, e speriamo una sera di venire con calma per provare a fondo la cucina. L’aperitivo è stato interessante, con il crostino e la tartara buoni e ben presentati, meno ci ha convinto il panino, comunque reso spettacolare dalla affumicatura in sala e al momento.
Piccolo caseificio, molto genuino e semplice, con una produzione di formaggi di latte di pecora (pecore di propietà), con forme di media stagionatura in genere e anche yogurt e ricotta. Abbiamo assaggiato un forma di 5 mesi, veramente notevole, peccato che non vengono normalmente prodotte in quanto finiscono prima.
Esiste da anni, ma solo negli ultimi ha avuto un’evoluzione che non è finita e che forse ci darà nel futuro altre sorprese. Anima dell’osteria è Daniele Citeroni Maurizi, che per cognome e presenza fisica non passa di certo inosservato. Daniele ha indubbiamente grande passione per le materie prime (basti vedere la sua selezione di formaggi) e senso del gusto. I suoi piatti sono in genere centrati nei sapori, piacevoli al palato. L’esempio migliore ce lo dà il cavoli&broccoli (solo verdure in varie consistenze), un piatto che da solo merita il viaggio. E tutto il menù è un vero godimento anche per il buon servizio al femminile (e siamo capitati in una giornata a dir poco incasinata) e il competitivo conto finale. Detto dei (tanti) meriti, alcuni limiti ci sono a nostro avviso: il locale un pò nascosto ed angusto (al contrario del borgo che è bellissimo), la minicucina che non permette più di tanto, e una mano un pò troppo generosa nell’intingolo e nei condimenti che alla fine tende ad appesantire le varie esecuzioni.