Una storia di famiglia straordinaria quella dei Cerea. In poco di più di mezzo secolo, da un piccolo bar di Bergamo a quello che oggi è per qualità ma anche fatturato e solidità, l’azienda più importante della ristorazione italiana. Il segreto? sono in tanti e tutti coesi, si sono divisi i compiti e le attività, ma poi insieme fanno un unico sistema come è raro trovare in Italia. Più che una famiglia è un klan dove anche i nuovi parenti si sono aggregati. E sono sempre insieme, prima a Bergamo, poi a Brusaporto, poi ovunque in giro per il mondo, ma tornano sempre a Bergamo dove vivono, grossomodo tutti insieme e insieme fanno spesso pure le vacanze (in Liguria). I meriti sono di tutti, perchè ci vuole amore passione ma anche il saper affrontare e superare le diversità di carattere, di visione strategica, le difficoltà della vita. In fondo è una questione di educazione e i figli Chicco, Roberto (Bobo), Francesco, Rossella, Barbara sono tali perchè sono stati educati in modo severo, ma perfetto da mamma Bruna. E’ Lei la colla che ha cementato la famiglia nei momenti piacevoli come nelle avversità. Pensiamo alla morte di Vittorio avvenuta nel momento critico del passaggio da Bergamo a Brusaporto. E’ Lei che li ha sempre voluti di tanto in tanto tutti insieme, è Lei che ricordiamo con affetto quando a fine serata, uscivano i clienti e apparecchiava la tavola familiare per distribuire un pò di sorriso serenità e saggezza ai suoi cari. Un caro abbraccio per i tuoi 80 magnifici anni.
Ristorazione&Ospitalità
Ai tanti amici ristoratori consiglio vivamente di approfittare di questa pausa obbligata per leggersi questo libro. E’ un investimento in cultura, ma direi di più: è un utile strumento, una bussola per orientarsi, un vademecum imperdibile per chi si vuole avventurare in questa professione. E’ stato scritto prima del covid. Se era utile prima ora lo è anche di più: dai primi passi per chi vuole aprire un’attività, alla fattibilità, all’operatività, alle risorse umane, alla promozione, nessun aspetto è trascurato ma tutto è raccontato con semplicità e chiarezza esemplare. D’altronde conosciamo bene l’autore, con Giacomo Pini ho diviso un percorso didattico allo IAL, scritto libri ed articoli. Era già esperto e bravo negli anni novanta, ora è diventato un riferimento per tutto il settore. A me il piacere di annoverarlo tra i cari amici.
Alessandro e Alessandra sono giovani, simpatici e volenterosi. Hanno messo su un bel localino in pieno centro storico dove propongono una ampia e caria selezione di prodotti, e la loro cucina. Cucina semplice regionale con una forte connotazione e passione per il pane e la pizza. Quest’ultima non passa inosservata: panetto sopra i 300gr, largo cornicione, finitura generosa di ingredienti per altro buona. La lievitazione è lunga, ma forse non sufficiente, visto anche la dose. Ma la sosta sia per loro che per il locale è gradevole e i prezzi contenuti.
Per rimettersi sù in tempi di covid ci siamo concessi il JK Place a Roma. Un piccolo albergo a cinque stelle che non ti fa sentire uno qualsiasi dall’alto di centinaia di camere e non ti accoglie con una hall sterminata. Sembra di entrare in una casa privata, certamente di pregio, dove quello che colpisce sono i dettagli. Come ad esempio la toilette: è vero che è scomoda (al piano superiore) ma il viaggio vale la pena, compreso l’ascensore. Venendo alla parte gastronomica la sala del ristorante è suddivisa in piccole salette che aumentano fascino e riservatezza, l’accoglienza è professionale, la cucina affidata a Michele Ferrara, ancora giovane e di buone esperienze all’estero. Una cucina che non vuole ricercare mode o effetti speciali, ma che cerca forse di rimanere in un percorso quasi casalingo con porzioni abbondanti e piatti senza troppi svolazzi, anzi a volta perfino un pò troppo poco rifiniti. Il piatto migliore ci è sembrato l’agnello, il meno convincente il dessert.
Anche Franco Solari ci ha lasciati
Purtroppo è un nome per larga parte sconosciuto ai più. Eppure negli anni ottanta e novanta del secolo scorso era una delle soste che non si potevano mancare. La Liguria gourmet, per me che venivo dalla Versilia, iniziava praticamente qui e finiva a Ventimiglia (Baia Beniamin e Balzi Rossi). In mezzo non c’era molto salvo il Palma ad Alassio. Franco aveva la mia età, però ormai malandato, erano anni che il ristorante era ormai chiuso. Ca’Peo a Leivi, una modesta casa, quella di famiglia, in una piccola frazione dell’entroterra che per arrivarci si faticava soprattutto nelle ultime curve. Aveva aperto negli anni settanta, insegnato alla moglie Melly (trevigiana) le ricette liguri. La svolta ai primi anni ottanta, l’incontro con Veronelli, la passione travolgente per il vino, che lo portò a creare una cantina monstre (visto la discosta collocazione). Non era scontroso ma sicuramente burbero, all’impatto sembrava poco socievole, e poi invece alla lunga si è poi consolidata una forte stima e simpatia reciproca. Come tanti liguri dell’entroterra, tendenzialmente chiuso, ma con un grande cuore che non si apre per tutti. Qui ho assaggiato il primo cappon magro, le lattughe ripiene e scoperto i grandi sapori di questa regione grazie alle mani leggere di Melly che, proprio per l’origine forse diversa, riusciva ad alleggerire e dare eleganza senza tecniche elaborate ma istintiva spontaneità alle indicazioni di Franco. Aveva due splendide figlie ed ho visto Nicoletta crescere. Lei in sala fino alla fine ha aiutato il padre, poi alla sua malattia con la madre hanno cercato ancora per qualche tempo di portare avanti il ristorante, poi anche la salute di Melly ne ha consigliato la chiusura. Si chiude per la ristorazione ligure una pagina storica importante. Ma il ricordo rimane. Franco è salito nelle vigne del Cielo per brindare da lassù.
Vengono dal mondo dello spettacolo ed hanno portato in questo piccolo nuovo locale di Monteverde Vecchio tanta cultura e tanto buon gusto. Il risultato è coinvolgente: è uno dei locali più affascinanti della Capitale per la cornice che hanno saputo creare e l’informale e calda accoglienza. E’ dedicato all’olio d’oliva ed infatti un’ampia selezione di oli regionali riempie gli scaffali di una bella libreria. Ed anche il dehor esterno risulta accogliente e tranquillo, il quartiere è quieto e la strada particolarmente tranquilla. Si mangia pure e qui iniziano i problemi, perchè la cucina è ancora un pò da costruire sia in senso concreto che di personale. Staremo a vedere, certo è che basterebbe alla fine poco, qualche prodotto giusto, una conoscenza di vini che almeno sia sufficiente e questo posto diventerebbe una vera chicca. Ma se chiudete un occhio sulla tavola, per il resto è già un approdo sicuro da non perdere.
Due belle notizie per Roma, e di questi tempi è un piacere averle. Aprirà il primo W Hotel brand di Marriott International a Roma, vicino via Veneto in via Liguria e la ristorazione sarà affidata all’iconico chef siciliano, Ciccio Sultano, probabilmente con più format, si prevede operativa per fine anno. Nonostante la pandemia il 2021 e 2022 dovrebbero vedere molte aperture di qualità dal Rosewood a via Veneto al Marriott brand Edition in via S. Basilio ed altre ancora.
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Ciccio Sultano
Largo ai giovani, lo diciamo da sempre. L’occasione di ripeterlo ci viene dall’annuncio di questa nuova iniziativa: nasce “Cucinanuova” grazie ad un nutrito numero di giovani chef che vogliono unirsi, almeno con alcune iniziative ed azioni, per contare di più. Ci sembra sacrosanto, troppo si parla in genere dei soliti noti, meno delle giovani leve alle quali spetta il compito di rinnovare ed aggiornare il settore. Sono molte le cose che ci sembrano positive di questa iniziativa: l’alto numero delle prime adesioni (alle quali se ne aggiungeranno di certo altre), la dispersione sul territorio che garantisce una rappresentatività nazionale (anche se forse il Sud, in genere negletto, è già più che presente), il voler guardare oltre i confini e non solo dentro casa (la cucina italiana è un player mondiale e questo non si deve dimenticare), il voler presto dare un messaggio di rinnovamento partendo dalla qualità del proprio territorio e dalla filiera dei prodotti. I buoni propositi insomma sono tanti. Colpisce piuttosto la mancanza di un qualsiasi accenno alla situazione epidemica e al conseguente ed attuale disagio sociale, però crediamo che tanta carne al fuoco non si possa poi mettere. Ben venga quindi questo nuovo tentativo di dare una positiva scossa al settore, noi, personalmente saremo sempre dalla loro parte.
MANIFESTO DI CUCINANUOVA
Cucinanuova si propone come movimento culturale formato da chef che, come noi, hanno avuto la possibilità di fare esperienze oltreconfine o studiare comunque tecniche e culture al di fuori degli schemi legati alla nostra cucina tradizionale. Così, facendo tesoro di tutto il bagaglio culturale accumulato, riescono a identificarsi in una cucina italiana nelle radici, ma non convenzionale.
Siamo stati testimoni di grandi rivoluzioni che hanno interessato il mondo, anche se in spazi temporali diversi, dove l’innovazione ha preso il sopravvento sapendo elevare la cucina tradizionale con l’utilizzo di tecniche moderne; vedi per esempio la crociata spagnola di Ferran Adrià negli anni ’90 o la rivoluzione della Cucina Nordica che, facendosi portavoce di tecniche ancestrali applicate a un concetto di food moderno, ha creato completamente da zero un nuovo filone ammirato da tutto il mondo. Per non dimenticare poi l’avvento negli ultimi anni della Modern British Cuisine che ha spostato il fulcro della “tradizionale” cucina inglese, super influenzata da Francia e vecchie colonie, sui concetti di “prodotti locali” e “biologico” iniziando finalmente a promuovere prodotti appartenenti alla cucina “comune” e sapendoli portare a livelli estremi.
Abbiamo notato una uguale sorte anche negli Stati Uniti dove solo dal 2005, grazie a nomi come Grant Achatz, Sean Brock, Joshua Skenes che sono riusciti a dar corpo a una New American Cuisine, ci si è distaccati da un’egemonia francese che risulta avere tuttora un’importante influenza attraverso grandi maestri come Thomas Keller o Daniel Boulud. Vale poi la pena citare il senso di collettività che ha sempre legato la realtà della Francia, capace per decenni di primeggiare a livello di influenza internazionale.
Come denominatore comune di questi successi a nostro avviso c’è stata la voglia di fare gruppo, di creare un legame tra chef proiettati verso uno stesso obiettivo e alfieri delle stesse idee e concetti. Anche se l’Italia può vantare maestri di altissimo livello che si son fatti ambasciatori di un concetto importante di cucina italiana, pensiamo che la frammentazione della nostra categoria sia sempre stata un nostro limite. Forse è questo il vero motivo della mancanza di una rivoluzione gastronomica in Italia? O forse l’importanza della nostra cucina regionale, che ci distingue da tutti e che è stata e sarà sempre motivo di vanto, risulta essere allo stesso tempo un freno al cambiamento?
Troppe volte la nostra cucina viene additata con stereotipi che denigrano sia la nostra cultura che la nostra voglia di fare; ed è per questo motivo che Cucinanuova si propone di unire chef, produttori agricoli, allevatori di eccellenza ma anche artigiani ed esperti in comunicazione che avvertano la necessità di farsi sentire, di uscire dagli schemi. Persone che fanno della ricerca di prodotti unici, dell’utilizzo di tecnologie all’avanguardia e dell’approfondimento di tecniche sia nuove che ancestrali il loro modo di concepire la nuova ristorazione italiana.
Il fine quindi che ci poniamo è quello di creare un food-network capace di stimolare lo spirito di solidarietà dell’intera comunità e che riesca a far percepire al consumatore il concetto di Cucinanuova. Vogliamo avvalerci perciò di professionisti che, attraverso le loro esperienze, riescano a rappresentare tutta la filiera di organizzazione del nuovo modo di fare cucina.
Già… il consumatore. A nostro avviso la figura più importante della filiera stessa. Sarebbe completamente errato, a nostro avviso, non prendere in considerazione quello che risulta essere il vero giudice del nostro operato. Proprio per questo motivo Cucinanuova si impegna a favorirne l’informazione e considera come punto di partenza le necessità del cliente stesso. Il consumatore ha il diritto e il dovere di essere reso partecipe di quelli che sono gli studi, le ricerche, l’impegno, il rispetto e la sostenibilità (anche sotto il profilo umano) che rendono diverso il nostro lavoro. Vogliamo che il cliente sia messo in condizione di capire il vero valore di un ristorante di cucina gastronomica.
Nessuna realtà che consideriamo appartiene alla grande distribuzione, dall’allevatore, all’agricoltore, al responsabile della trasformazione, all’artigiano che produce pezzi unici.
Inizialmente ci proporremo di intervenire sulla nostra comunità in dirette live per dare voce a ogni singolo membro di Cucinanuova, così che ognuno possa raccontare la propria storia, il ruolo che ricopre, ma soprattutto la filosofia che lo contraddistingue. Una sorta di presentazione dove si potrà discutere anche di temi che più toccano gli interlocutori e i punti sui quali vogliono soffermarsi maggiormente per stimolare un approccio originale a quella che è la nostra visione di alta ristorazione.
Cucinanuova si propone inoltre di organizzare un evento gastronomico dove, avvalendosi della presenza di tutti i soggetti coinvolti, cercheremo di proiettare in forma tangibile la nostra filosofia. I rappresentanti dell’intera filiera saranno chiamati a intervenire per formare e sensibilizzare i consumatori a esperienze gastronomiche di avanguardia.
Per anni le voci italiane sono sempre state frammentate e separate…. Un senso di collettività risulta fondamentale per creare un movimento che abbia impatto concreto sulla società. Ecco perché il fulcro del nostro progetto resta la creazione di una comunità solida che, partendo dagli chef, sappia coinvolgere a cascata tutti i responsabili della filiera; tanti cardini che decretano la riuscita di un concetto di ristorazione moderna.
Siamo fermamente convinti che i capisaldi della nostra comunità dovranno essere la condivisione e l’informazione.
Vogliamo infine focalizzarci soprattutto sui giovani e cercheremo quindi il coinvolgimento delle strutture scolastiche pubbliche; attraverso i nostri canali vogliamo condividere idee, concetti e la stessa filosofia dei singoli avendo come fine ultimo l’informazione. Per alzare il livello di percezione della cucina contemporanea
Il team Cucinanuova
Prime adesioni: Andrea Antonini, Antonio Biafora, Antonio Lebano, Antonio Romano, Ciro Scamardella, Daniele Lippi, Domenico Candela, Domenico Stile, Donato Ascani, Eugenio Boer, Fabrizio Fiorani, Francesco Di Marzio, Gianluca Renzi, Giovanni Solofra, Giuseppe Molaro, Luca Gulino, Marco Ambrosino, Matteo Metullio, Mattia Trabetti, Nello Iervolino, Riccardo D’Agostino, Roberta Merolli, Tommaso Foglia, Davide Guidara, Luca Abbruzzino, Davide Caranchini, Antonio Zaccardi..
Movimento Cucinanuova e i cuochi giovani
In un momento che vede il paese in emergenza, gli italiani colpiti dalla pandemia e le Istituzioni in crisi si fa forte il grido di dolore che arriva dal settore degli Alberghi e dei Ristoranti. Riceviamo quanto segue e siamo partecipi
I Ristoranti del Buon Gusto e Alberghi La Milano che conviene
Gentili colleghi,
ci presentiamo, siamo Poli Marco e Simona Ronca, Presidenti delle reti d’impresa Ristoranti del Buon Gusto e Alberghi la Milano che Conviene con sede a Legnano (MI).
In collaborazione con altre reti Nazionali, abbiamo creato questo canale per riunire tutti coloro che vogliono far sentire le proprie idee e collaborare per un’azione comune su possibili miglioramenti nel nostro settore Ho.Re.Ca.
Se conosci amici, colleghi che potrebbero avere interesse in questa iniziativa ti chiedo di condividere il link del canale Telegram :
https://t.me/horecaUnitinoicisiamo
La situazione sta peggiorando vi chiediamo disponibilità e collaborazione nel far girare questa comunicazione.
Grazie
Marco e Simona
I Ristoranti del Buon Ricordo
NON C’E’ PIU’ TEMPO
“Il primo grido d’allarme l’abbiamo lanciato lo scorso 30 marzo 2020. Il secondo è
datato 22 aprile 2020. Il terzo, che speravamo fosse l’ultimo, il 16 maggio 2020. Ormai
non c’è più tempo.” L’Unione Ristoranti del Buon Ricordo – la prima associazione fra ristoratori
nata in Italia, nel 1964, di cui fanno parte un centinaio di locali – torna ad evidenziare con forza
l’assoluta criticità del settore e la mancanza di chiari e concreti interventi e linee guida che
possano scongiurare il tracollo dell’intero comparto. E lancia questo appello all’intero mondo della
ristorazione e della somministrazione.
Il nostro Mondo, il Mondo della ristorazione italiana di qualità oramai è esausto.
11 mesi sono trascorsi dall’inizio della pandemia, 11 mesi durante i quali la nostra categoria
ha accettato di chiudere a ripetizione le proprie attività in nome della salute.
Noi ristoratori abbiamo un cuore e lo abbiamo dimostrato.
Le briciole dei ristori, quando sono arrivate, sono state proprio tali.
Abbiamo accettato anche il gioco dei colori, delle aperture e chiusure per salvare il Natale,
poi per salvare gennaio, poi…?
Purtroppo la realtà dei fatti ha dimostrato che non erano i locali pubblici i portatori di contagi.
Tutti sappiamo che pranzare in un ristorante è più sicuro che farlo in una mensa aziendale.
Allo stesso modo le resse nei supermercati e l’affollamento dei posti di lavoro
non possiamo credere che siano meno pericolose.
Ci è voluto del tempo ma tutti ora, noi e i nostri clienti, abbiamo capito
che la scelta di chiudere determinati settori è stata una scelta di comodo.
Guarda caso sono i settori nei quali è unanimamente riconosciuta la professionalità e la passione
per il proprio lavoro. Settori abituati ad abbassare la testa e lavorare.
In nome di questo il governo ha pensato che avremmo digerito ogni cosa, lamentandoci,
scrollando la testa ma poi rifugiandoci, per la sopravvivenza,
in forme inutili economicamente come asporto e delivery.
Tutto giusto. Tutto vero.
La passione va oltre ogni ragionamento logico.
Così è stato.
Con il risultato che tanti di noi sono alla canna del gas!
ORA BASTA.
Il vaso è colmo. Ci mancava solo l’invito ad aprire le nostre attività per 2 giorni
per poi chiuderle nel week end, per poi colorare di nuovo l’Italia di giallo e arancione limitando
o vietando il nostro lavoro in modo quasi sadico, per completare la presa in giro.
Il 16 maggio dicemmo:
I TEMPI SONO SCADUTI.
Tutti ora abbiamo capito che, causa la pandemia, dobbiamo aspettare tempi migliori,
ma dobbiamo arrivarci.
Noi del Buon Ricordo siamo una piccola realtà ma pensiamo di rappresentare il mondo intero
della somministrazione (Horeca) che troppo spesso non si è dimostrato compatto.
CHIEDIAMO al GOVERNO:
FATECI LAVORARE IN SICUREZZA, MA CON LA POSSIBILITA’ DI FARE IMPRESA
oppure
PERMETTETTECI DI ARRIVARE ANCORA VIVI AL MOMENTO DELLA RIPARTENZA
CON GIUSTI RISTORI, NON BRICIOLE.
Noi imprenditori della ristorazione crediamo di avere tante proposte da portare sul tavolo
anche per il futuro, ma dobbiamo essere ascoltati non portati alla chiusura.
Asporto e delivery non fanno parte del DNA della grande ristorazione e della somministrazione
in genere e chi lo ha fatto o lo sta facendo sa bene che non possono tenere in piedi un’azienda.
In una situazione come quella che ci aspetta nelle prossime settimane la soluzione unica
e più economica e che rispetterebbe la nostra dignità sarebbe una sola
CHIUDERE TUTTO.
Se davvero siamo contagiosi dovremmo essere noi i primi a tirarci fuori dalla mischia.
Ma non possiamo farlo da soli.
Chi si alza ogni mattina all’alba e per 16 ore non esce dal proprio locale ha una dignità.
Ora questa dignità è stata troppe volte calpestata.
Asporto e delivery per le regioni arancioni
e aperture solo a pranzo infrasettimanalmente per le regioni gialle
sono delle prese in giro senza senso.
Questo è il nostro pensiero.
IL MONDO DELLA SOMMINISTRAZIONE COSA NE PENSA?
NOI CI SIAMO.
E’ tempo di essere UNITI e far sentire la nostra voce.
Unione Ristoranti del Buon Ricordo
tel. 0521.706514
www.buonricordo.com
[email protected]
57 anni d’età, un centinaio di insegne, di cui una decina all’estero: dal 1964 l’Unione Ristoranti del Buon
Ricordo salvaguarda e valorizza le tante tradizioni e culture gastronomiche del nostro Paese, accomunando sotto
l’egida della cucina del territorio (a quei tempi scarsamente considerata) ristoranti e trattorie di campagna e di
città, dal Nord al Sud. L’URBR è stata la prima associazione fra ristoratori nata in Italia ed è ancora oggi la più
diffusa e conosciuta. A caratterizzare ciascun ristorante, e a creare fra loro un trait d’union, è oggi come un
tempo il piatto-simbolo dipinto a mano dagli artigiani della Ceramica Artistica Solimene di Vietri sul Mare su
cui è effigiata la specialità del locale, che viene donato agli ospiti in memoria di una piacevole esperienza
gastronomica da ricordare. Nel loro insieme, ristoranti e trattorie associati rappresentano, con la varietà
straordinaria delle loro cucine, il ricchissimo mosaico della gastronomia italiana
Alain Ducasse, lo chef più famoso (e stellato) di Francia e quindi del mondo è forse anche il più rappresentativo della “Grande Cuisine” del suo tempo, ovvero dell’alta fascia della ristorazione, ma non solo! Ducasse è iper noto nel mondo per i suoi ristoranti a diverse stelle, ma si è anche cimentato con grande successo in generi più popolari del tipo bistrot e brasserie sia tradizionali che contemporanei ed ha sempre avuto una passione per la cucina mediterranea ed è titolare, tra i tanti indirizzi, anche di un ristorante prettamente italiano a Parigi, il Cucina Mutualité.
Non è solo un bravo chef: da tanti anni è soprattutto un grandissimo manager del settore e come tutti i grandi manager ha capito sin dall’inizio che la haute cuisine si basa sulle migliori materie prime, ma anche e soprattutto sulla qualità delle risorse umane. Così nel 1999 ha creato l’Ecole Ducasse che è in breve tempo diventata un centro di fama internazionale per l’insegnamento delle arti culinarie e della pasticceria.
Di recente l’Ecole Ducasse è entrata a far parte del gruppo Sommet Education, leader nel mondo per la formazione nel settore del management e dell’ospitalità con l’intento di allargare a tutto il mondo, grazie alla sua consolidata penetrazione nei 5 continenti, l’orizzonte dell’Ecole Ducasse, preservando la visione, l’energia ed il carisma che l’iconico chef ha sempre infuso in questa scuola.
Il nuovo campus dell’École Ducasse occupa una superficie di 5.000 mq appositamente costruita a Meudon, un ricco sobborgo parigino a soli 10 chilometri dal cuore della Capitale francese. Adagiato sulle rive della Senna, Meudon è stata la cittadina dove hanno vissuto numerosi artisti celebri, tra cui lo scultore Auguste Rodin. Come centro all’avanguardia per l’educazione culinaria, il nuovo campus di Meudon ospita ben sei cucine altamente tecnologiche dove è possibile addestrarsi individualmente o anche nel contesto di un lavoro di squadra. Inoltre sono presenti un laboratorio di pasticceria, un laboratorio di panetteria, un laboratorio d’innovazione e due ristoranti didattici esclusivi anche aperti al pubblico. In linea con la filosofia dello chef Alain Ducasse, il campus vanta anche propri orti e un giardino di piante aromatiche che non deve mai mancare.
La formazione offerta è veramente a 360°, da corsi intensivi brevi focalizzati su singoli argomenti a veri e propri corsi accademici di lunga durata che accompagnano l’allievo dalle nozioni di base ad un livello che ne garantisce la professionalità sul campo. Senza citare le decine di contenuti dedicati a particolari situazioni, tecniche ed ingredienti, citiamo almeno una curiosità molto peculiare: un corso “signature” che sceglie come tema portante i menù dei tre ristoranti tristellati di Alain Ducasse (a Parigi, a Montecarlo e Londra).
E non è solo formazione ma anche “consulenza”, come in quei casi dove un complesso alberghiero o un ristorante abbiano necessità di evoluzione, di cambiamento, di startup e vogliano essere accompagnati in un percorso migliorativo. Il team tecnico ed il corpus accademico sono infatti di primissimo livello e varia origine riuscendo così a coprire un po’ tutti gli aspetti e le problematiche che abbracciano la ristorazione e l’ospitalità. Cosa aggiungere? Ancora un “colpo da maestro” messo bene a segno, Monsieur Ducasse!