Il brunch, acronimo di breakfast e lunch può essere un po’ dell’uno o dell’altro, ma anche una terza via. E ci sembra che Lara e Massimo Bottura abbiano scelto quest’ultima. Non è un breakfast, non ci sono praticamente cereali, muffin, croissant e torte; non è un lunch e nemmeno il pranzo della domenica che in genere contempla poche tradizionali portate. Diciamo che è una specie di via di mezzo tra un picnic servito al tavolo per via della dimensione campestre, e un barbecue americano per la cottura (ma c’è anche il forno a legna oltre alla griglia e all’affumicatore) e la musica dal vivo. C’è convivialità, familiarità senza dimenticare le buone maniere con un servizio efficiente e puntuale, mentre dall’angolo cottura i ragazzi coordinati da Jessica si muovono con eleganza ma anche tanta precisione. Le portate si susseguono con il fumo che fa da filo conduttore e con il suo irresistibile richiamo che emana dalla zona forno, giocando spesso sul riuscito contrasto: amaro del fumo che rende croccante la superficie dell’ingrediente versus il dolce e il morbido dell’interno. Buono l’inizio con una pancetta completata dal pomodoro che sa di fumo e dalla ricotta al forno, sensazionale la frittata di cipolle senza cipolle (tolte alla fine) cotta a bassa temperatura nel forno con anguilla laccata. Ma è buono pure il resto, dall’elegante baccalà in leggera crosta alla costoletta di vitello anch’essa finita al forno a legna. Rinfresca il sorbetto, mentre un po’ troppo vischioso è il S’more please (una specie di marshmellow semiliquido). E poi il brunch è un modo anche di godersi della presenza di Lara e Massimo che, fuori dall’ufficialità dell’Osteria Francescana, qui ritrovano la loro vera dimensione e la voglia di divertirsi e inventarsi nuove formule di mangiare e di vita. E lo vedremo presto, quando con l’autunno il brunch prenderà nuova forma, quale? siamo anche noi curiosi di scoprirla.
Ristorazione&Ospitalità
Il locale è bello, moderno, arioso, affacciato sul lungomare con comodo parcheggio. La sera un’illuminazione corretta dà ulteriore slancio alla struttura che è anche non piccola: sono tanti i coperti nella bella sala centrale, che si raddopiano in stagione con l’uso della grande terrazza. Quantità che in questo caso si sposa alla qualità. I ragazzi di sala seguiti dall’occhio attento di Roberta Ramoscelli (sorella dello chef) si muovono con precisione e senza affanno, in cucina è Antonio Scarantino poco più che trentenne, origini siciliane e poi in giro per l’Europa fino a questa esperienza che lo vede cotitolare con la signora Simonetta Biagiotti. Ed il locale si è dimostrato piacevole non solo nell’ambiente e nel servizio, ma anche a tavola. Non tanto la lunga serie di stuzzichini di onesta ma diciamo normale professionalità, quanto i due piatti principali, il primo e il secondo, di ottima ideazione e realizzazione, mentre delude la parte dolce finale della cena.
Iera sera ci ha lasciato Roberto Tosca, per me non solo un collaboratore prezioso, ma soprattutto un grande amico. Infaticabile ed appassionato ci univano tante cose, l’amore per la ristorazione, e quello verso i giovani chef. Era incontentabile quasi come me, sempre attratto dalle novità, sempre in giro per scoprire i nuovi talenti, sempre alla ricerca del buono e dell’originale. Una curiosità insaziabile, un palato fine ed una generosità che non aveva uguali. Un vero galantuomo di altri tempi, corretto e cortese. Amava sorprendermi con i suoi messaggi. Arrivavano via whatsapp le foto dei piatti ed iniziava la gara: indovina dove sono? con l’orgoglio di far vedere che arrivava ovunque anche dove non te l’aspetti. E io gli dicevo bravo! e lui mi rispondeva: sei tu il maestro da te ho imparato tanto, ed invece sono io a ringraziare chi con la sua allegria e voglia di vivere la tavola mi faceva sempre ritoranre un pò fanciullo. Stamani quando ALberto Gipponi, un’altra sua scoperta e forse lo chef da lui più amato, mi ha dato la notizia, ho pensato che questo orribile anno non ci vuole lasciare. E’ come aver perso un fratello, con l’unica soddisfazione che è andato via contento, il suo ultimo tour tra Sicilia e Calabria l’aveva riempito di gioia per i tanti giovani e bravi chef visti all’opera. Caro Roberto mi mancherai davvero.
Arrivare al vertice è sempre difficile, ma ancora di più rimanerci. Abbiamo conosciuto proprio agli inizi Massimo Bottura, quando era ancora alla trattoria di Campazzo, prima di partire per New York, conoscere Lara Gilmore e da lì diventare il grande chef che è. Il successo spesso annebbia le idee, cambia il carattere, ti fa perdere il contatto con il mondo reale. In questo Massimo secondo noi, sostenuto da una grande apertura mentale, una cultura a tutto campo e una capacità di dialogo come pochi, riesce a mantenere il giusto equilibrio: cucina per i ricchi, alla sua tavola si siedono i VIP più famosi, ma non dimentica che c’è un altro mondo; ed è così sempre in prima linea anche con i suoi Refettori, con i tanti progetti di Food for soul. Non venivamo da un paio di anni ed eravamo quindi curiosi: la sua cucina come si sta evolvendo? Dal momento che amiamo quanto lui anche la musica, un pò di tutti i generi, dal jazz all’opera, ma anche quella pop, amiamo ovviamente anche i Beatles, siamo crexciuti con il loro sound (anche se poi abbiamo preferito i Pink Floyd). Sgt Pepper Lonely Hearts Club Band per chi ha vissuto quell’epoca è stato come uno squarcio che apre un nuovo mondo. Un passaggio dalle canzonette gradevoli, spigliate ma leggere tipo Please me, ad una musica di gran lunga più complessa, più in linea con i tempi, un preludio al cambiamento di stili di vita che ha accompagnato la cosidetta rivoluzione dei fiori. Godersi un menù che ne ripercorre in senso gastronomico i messaggi è non solo interessante, ma illuminante perchè in un certo senso apre anch’esso verso un orizzonte gastronomico diverso che potremmo sintetizzare con uno dei titoli del menù: cellophane flowers & kaleidoscope eyes. Pur non essendoci nel menù un piatto vegetariano, sono le erbe le foglie i fiori i veri protagonisti della lunga carrellata di pietanze non solo per il cromatismo di ogni presentazione ma per l’intenso effluvio dei loro aromi. La sequenza non è a scansione (es piatto acido, poi dolce, poi amaro ecc..) ma ogni piatto è un caleidoscopio non solo di colori ma anche di sapori, potremmo dire un doppio arcobaleno. Sorprende perfino il pane, la brioche iniziale che ci ricorda quella magica di Lenotre, qui viene completamente rivista per proporre non tanto la grassezza del burro quanto la complessità dei sapori che vanno dol dolce al sapido, un vero pasto a se stante. Un delicato e intrigante fish & chips è quello dello Yellow Submarine, una potente costruzione quella del risotto di Strawberry Fields dove dolcezza (riso e gamberi) acidità (fragole e lambrusco) aromaticità (pepe ed erbe) fumo e grassezza (mozzarella di bufala affumicata) si succedono nel palato in un lungo inseguimento. Il piatto che forse ci ha più colpito è il successivo: il merluzzo al curry verde, un piatto bellissimo di grande nobiltà, elegante, giocato con pochi protagonisti (il pesce, la salsa, e la sfumature del verde), senza tempo e luogo (il merluzzo e il curry sono ingredienti veramente universali) ma rimane nella mente come un capolavoro di arte moderna. Altro gran piatto è il piccione. L’unica osservazione che facciamo è sul piccione in quanto tale, fin troppo ricorrente in tutte le grandi tavole d’Italia (e non solo), ma qui vorremmo vedere un tacchino, un coniglio, meglio ancora il pollo! Ma tornando al piccione è di certo difficile trovarlo in una versione così raffinata, di consistenza quasi burrosa nel petto, di sapore deciso e ficcante nella crocchetta. Largo è lo spazio dedicato ai dessert, anche qui non ci si annoia: dalla cremosità intrigante della creme caramel all’effervescenza del Summer is coming, e alla golosità della nuvola di zucchero finale. Manca solo forse nel complesso una nota croccante più pronunciata. In sintesi un’esperienza che ci conferma che Massimo è sempre lassù, in alto, diciamo riprendendo i Beatles in the sky with or without Lucy, shining on the crazy diamonds (questa volta citando i Pink Floyd) dove i crazy diamonds sono i suoi ragazzi della sua brigata, ai quali sembra lasciare più libertà di esprimersi e di fare di quest’Osteria Francescana un posto senza necessario riferiemnto territoriale ma capace di spaziare lontano e interagire con il mondo. Ed è notizia di queste ore che Massimo è stato nominato Ambasciatore dell’ONU per i suoi meriti e la sua visione umnitaria. E’un riconoscimento che premia Lui, ma anche l’Italia tutta.
Un bel locale veramente quest’Impronta posta ad uno dei capi del famoso ponte di Bassano su ben tre livelli. Tre salette una sull’altra, la più spettacolare è l’ultima in fondo che gode da una parte della vista della bella cucina e dall’altra di un’uscita segreta al sottoponte, una visione suggestiva da non lasciarsi sfuggire. Accoglie Laura Avogadri titolare con Cristopher Carraro giovane chef esperto cresciuto con Berton, Cannavacciuolo e Bartolini che ha al suo fianco il giovane Nicola Crestani. Sono pochi ma anche i coperti alla fine sono pochi pur se in tre livalli, e sono misurati anche i piatti: una piccola carta verrà presto introdotta ma fondamentalmente la proposta si articola sui menù degustazione: 3 (vegetariano, classico e dello chef da 45 euro a 80 euro. Tutto sommato un prezzo interessante visto la qualità del locale. Cristopher sfoggia tecnica a tutto campo con una cucina accattivante e convincete: buoni gli stuzzichini iniziali, molto tecnico ma anche delizioso il finto raviolo alla brace di melanzane, corretta la chiusura dolce finale. Il piatto migliore? un’esemplare trota del Brenta con scalogno, un piatto centrato senza sbavature. Quello meno convincente: gli spaghetti fin troppo mantecati e ammassati dal baccalà e la sua maionese.
Un’osteria di pesce non sul mare, ma nel centro storico e forse per questo ancora più veritiera: menù alla lavagna, pesce fresco soprattutto quello veramente pescato nel mare di fronte, prezzi corretti. Basterebbe? Pensiamo di sì con due annotazioni, una negativa: i piatti cucinati sono decisamente frettolosi e poco curati, una positiva:, la sala, nonostante il pienone abituale, funziona alla grande puntuale e cortese. E non è rara questa cosa soprattutto nelle locali di questo genere. Merito del titolare, Christian Ghena, appasisonato anche di vini e si vede, riesce ad accontentare non solo il sottoscritto, ma anche Alessandro natali compagno di tavola e produttore di champagne.
E’stato uno degli ultimi ristoranti visitati prima del lockdown, e con Alessandro Natali, grande conoscitore di champagne ed anche, con Enrico Mazza, proprietario di Extrè, uno tra i pochissimi champagne di proprietà italiana, abbiamo deciso di brindare alla ripartenza proprio a Cantina Cattaneo dove c’eravamo lasciati. Lo champagne ovviamente non è mancato (con un plus al numero II , due in caratteri romani) e ce n’è voluto tanto (ma non è stato un sacrificio) perchè poi un piatto tira l’altro. Colpa dello champagne? i piatti ci sono sembrati particolarmente godibili e gustosi, ed il merito non va solo all’abbinamento quanto alle doti di Enrico Bo, chef maturo, ma modesto, sempre disponibile e con il sorriso. La sua cucina è un vero “confort food, generosa nelle portate, centrata sui sapori, ed in effetti guardando intorno non un tavolo disponibile. Se siete in due poi il consiglio è di prenotare il tavolo nella cisterna esterna per una serata con i fiochi, ed ovviamente a tutto champagne!
Al via la nuova edizione di Foodexp, rinviata causa Covid e rimaneggiata: con Giovanni Pizzolante abbiamo convenuto di rimandare al 2021 le gare di Emergente. Ma per il resto il programma è avvincente e ricco di spunti. Lo presenta alla stampa nella bella sala di questo nuovo e moderno W Club nel centro storico di Lecce, in una cena conviviale approntata da Ivan Scrimitore chef resident del W, Cosimo Russo dell’omonimo ristorante di Leverano, Emanuele Frisenda di Aqua a Porto Cesareo, CHiara Spalluto della gelateria Vittoria.
Li avevamo conosciuti a Emergente Chef dove avevano lasciato il segno e quindi non avevamo dubbi che avrebbero messo su un bel locale. Ma la realtà è ben superiore: è veramente un bel ristorante questo DUO, per la sua posizione nel centro storico, ma appena defilata, per gli ampi spazi, per il fine arredo. Loro poi hanno studiato dettaglio per dettaglio, dalle ceramiche alle posate, dai lumi ai tovaglioli. E in cucina hanno saggiamente scelto una linea abbastanza tranquilla, il giusto via di mezzo evitando il banale e il troppo rischioso che, soprattutto di questi tempi e in fase di lancio potrebbe essere non capito. Ambedue sono in cucina, Lui più sul salato e Lei nominalmente ai dessert (ma ne oltrepassano facilmente il confine, e su qualche ricetta scambiano pure i ruoli) e per la sala si sono affidati al bravo Fabio Battaglia (coadiuvato da Michela Iannì) che in poco tempo ha impostato una piccola ma interessante carta di vini. Non amiamo particolarmente il crudo, ma il loro è particolarmente bello (oltre che buono), e tutto il resto scorre velocemente e piacevolmente con due buoni dessert in chiusura. E’ nato un nuovo bel ristorante in tempi di pandemia e non possiamo che essere felici.
Vicino all’agriturismo dei Due Laghi, che si distingue per la sua bellissima posizione ed il panorama eccezionale, c’è la Macelleria Onofri che da qualche tempo ha avviato un’attività di ristorazione semplice ma di sostanza: un baracchino con tavoli di legno, senza alcun fronzolo, dove ci si siede dopo essere passati di fronte alla vetrina ed ordinata la carne prescelta. Ben tre griglie al servizio per la cottura, e nonostante l’afflusso il tutto è abbastanza rapido. E ci si sta bene, sia perchè la carne è buona sia per il bel panorama e sia perchè si beve anche molto bene. I meriti questa volta non sono di Michela Onofri, la titolare, ma di Maurizio Serva della Trota che ha portato il vino e che ringraziamo.