Due ragazzi, Antonio Menchise in sala e Francesco Lorusso in cucina, con esperienze importanti sulle spalle, decidono insieme di rifiutare allettanti proposte in giro per il mondo e invece di investire nel proprio paese, che, con rispetto parlando, non è proprio lungo i normali percorsi turistici. Ma questo è il bello dell’Italia, un Italia di piccoli borghi più che di grandi città. Si sono istallati nella dependance di una bella villa appena fuori del paese, con dolce panorama sulla campagna intorno. Dentro hanno creato un locale che farebbe invidia anche a Roma o a Milano: allegro, elegante ma non presuntuoso, pulito e contemporaneo. Se la sala attrae è la cucina che ti conquista: Francesco ha viaggiato, anche parecchio, ed è soprattutto la Norvegia che lo ha influenzato. La sua cucina è effervescente a cominciare dal primo boccone (il fiore selvatico) che ti inebria di note balsamiche, ma non c’è un assaggio che non sia interessante. Non perchè sia tutto perfetto, anzi, qualche nota sapida di troppo (vedi il midollo), qualche intingolo eccessivo (vedi il salmerino), ma alla fine ci si alza desiderosi di ritornare perchè non è facile trovare in giro una serie di assaggi così intriganti. Sono poi giovanissimi, hanno aperto in un periodo non certo facile. Aiutiamoli in questa fase di lancio ed il miglior modo è andarli a trovare, non ve ne pentirete.
Porzioni Cremona
Un locale di rara suggestione questo Maeba. E’ ricavato in un antico frantoio molto ben restaurato e si presta bene per piccoli e medi eventi di qualità. Ma la qualità è anche nella ristorazione quotidiana grazie ad un titolare che vanta una grande esperienza nel campo dei vini e dei distillati (e infatti non mancano etichette e riferimenti di assoluto interesse) e a uno chef indubbiamente capace, molto attento anche ad una presentazione curata e, non a caso, il vertice lo raggiunge proprio con i dessert. Ma tutto il pasto è curato, all’inizio con eleganti stuzzichini e buoni antipasti, cala (a nostro avviso) nei due primi un pò inutilmente ridondanti, e gode di una perfetta chiusura nel dolce. Un locale che fa onore all’Irpinia e che rappresenta un ottimo punto di sosta nel prcorso verso la Puglia.
Siamo tornati con grande curiosità e piacere. Il borgo, Moggiona, vive di riflesso della grande foresta di Camaldoli e della storica Abbazia. E i Baroni (tre fratelli, donde il nome dell’Albergo, i 3 Baroni), si sono fatti ben apprezzare con la Locanda posta subito prima dell’Abbazia. Filippo poi negli ultimi anni con la giovane moglie Marta sta facendo crescere sia l’albergo (indirizzandolo verso una clientela che vuole un migliore standard) che il ristorante Mater per dare un’altenrativa gourmet ai visitatori. E’uno straordinario autodidatta, praticamente da solo, provando e riprovando, ha saputo impostare e far crescere una brigata giovanissima del luogo che si esprime ad ottimi livelli, con varietà e sufficiente tecnica. Ed anche la sala gira bene grazie a Marte e ad Enrica. Da sottolineare e lodare la bella scelta di infusi e il modo coinvolgente con il quale viene presentata. Potremmo essere soddisfatti, ma non lo siamo, perchè chi arriva fin quassù pensiamo che voglia ancora più calarsi nell’atmosfera magica del luogo. Non che manchino i riferimenti territoriali, ma lo sforzo deve essere maggiore e il risultato più libero dall’ossessione gourmet e più spontaneo. Però detto Filippo si merita ampiamente le nostri lodi, specie per la linea degli antipasti e dei secondi che abbiamo trovato migliore di quella dei primi e dei dessert. Venite a trovare questa bella e simpatica coppia, sia per la gentile accoglienza che per scoprire un angolo bellissimo ed intatto della nostra Italia.
Ringraziamo Marta Bidi dei Tre Baroni per aver portato Fausto Arrighi ed il sottoscritto a scoprire questo piccolo caseificio che fa quello che è probabilmente il miglior abbucciato del territorio. Forme stagionate di medie dimensioni che affinano per quasi un anno. Alla base un lavoro quotidiano e paziente, dalle pecore allevate in proprio, alla mungitura e alla lavorazione della cagliata. Silvia e Marco Fioravanti portano avanti con modestia e passione il loro lavoro, speriamo non si stanchino! la nuova generazione sembra avere altri interessi.
Imago? per ritirarsi su il morale. Una sala bellissima con vista sul centro storico, un ristorante pieno con i primi stranieri che si riaffacciano ma anche tanti italiani, un servizio di sala forse un pò troppo maschile, ma sicuramente efficiente e preciso (grazie alla straordinaria presenza di Marco Amato e del suo team con Alexandre Ciarla secondo maitre e Alessio Bricoli sommelier). Ma la piacevole conferma ci viene dalla cucina. Non avevamo dubbi sulla bravura di Andrea Antonini, ancora giovane, ma di grande esperienza. Ma prendersi carico di un ristorante importante come questo non deve essere stato facile, per giunta il covid non ha di certo aiutato. Eppure la cena è stata brillante, di buon ritmo nonostante le difficoltà tecniche (e la sala piena) con una serie di portate godibili e piacevoli. Leggerissimi e vari gli stuzzichini iniziali, ottimo il pane, altrettanto vario il crudo di pesce, un pò troppo lavorata ma intrigante la carne cruda e di ottimo spessore anche i due piatti principali, i ravioli e il coniglio dove a cercare il pelo nell’uovo riscontriamo una sapidità elevata. Solo la parte finale dei dessert, pur essendo curata, ci sembra non allo stesso livello di quanto sopra citato. Ci complimentiamo veramente con Andrea e per come riesce a gestire (ed a “spremere” nel miglior senso della parola) la sua brigata. Lui d’altronde pur essendo giovane trasmette forza e carisma, grazie anche ad una struttura fisica importante, che gli consente, sembra facilmente, di tenere sempre molto alta l’asticella tecnica di ogni portata. Gli consigliamo però, ogni tanto, di prender fiato.
Una soave mozzarella in carrozza, assaggio migliore della serata, valeva da sola il viaggio. Ma è sempre un vero piacere la sera nel bellissimo contesto della terrazza Aquaroof dell’Acquolina, coccolati dal servizio stellare di Benito Cascone (sotto l’attento occhio di Andrea La Caita). Ci tiene compagnia al tavolo Guido Ferraro, al quale mi uniscono tante scorribande gastronomiche ed affinità di pensiero. Serata con ospite Diego Vitagliano a confermare che anche sulle più nobili terrazze romane la pizza ormai non è solo una curiosità, ma può orgogliosamente essere protagonista. Diego ce la mette tutta con i fritti, con la rotonda, con la pala, con il padellino e con la pizza fritta. Lo assiste per i topping Daniele Lippi che va a rispolverare perfino il cocktail di gamberi in salsa rosa. I risultati sono così così, anche per le difficoltà tecniche delle varie cotture in terrazza, ma, ripetiamo nel complesso la serata è stata piacevolissima, anche per il buon bere. le Birre del Borgo presentate da Alfredo Colangelo.
Tornare da Pascucci è sempre un piacere perchè con il tempo si apprezza sempre di più il grande professionista che è, si scoprono altri dettagli che ci confermano come questo indirizzo non solo è sempre valido, ma cresce giudiziosamente e con misura anno dopo anno. La sala è ancora più curata con i tavoli ben distanziati, e il menù offre una serie di proposte che appagano clienti e critici perchè si ricerca il bello e il buono con estro ma senza esagerare. Questa volta abbiamo anche trovato una pasticceria in crescita (anche se un pò troppo dolce), merito di Giorgia Moscatelli. Un solo neo, il risotto di eccessivo impatto per essere piena estate, mentre è difficile dire quale è stato il piatto migliore, visto che a contendersi il titolo sono in tanti e questo è sicuramente un bel segnale. La brigata di cucina guidata (sotto Pascucci) da Jlali Karim, annovera anche Tommaso Zoboli recente vincitore di Emergente, in sala con Vanessa ecco Lucrezia Di Rocco e Mirko Rebuzzi.
Dietro c’è una famiglia importante, un progetto e un’idea, davanti un gruppo di giovani ragazzi e ragazze bravi, simpatici e coesi. La somma è una delle novità più interessanti che ci siano. Cominciamo dall’inizio. Marco Bizzarri è il CEO di Gucci da tanti anni, ed è un pò l’artefice della grande crescita di questa Azienda. Quando era ragazzo, come tutti noi, anche lui andava a scuola. Il caso ha voluto che accanto, nello stesso banco, ci fosse Massimo Bottura. Sono cresciuti insieme, poi hanno preso strade diverse, ma sono ambedue arrivati al vertice della loro carriera. A questo punto si sono ritrovati professionalmente. Massimo Bottura ha cominciato ad aprire “Osteria Gucci” in varie città del mondo (Firenze, Los Angeles, Tokyo), in comune non ci sono solo affari, ma la stessa visione del mondo. Un mondo dove il cibo è cultura, dove il buono va a braccetto con il bello, dove la sostenibilità è il vivere quotidiano. Stefano, figlio di Marco è cresciuto con questi valori ed è sempre stato affascinato dalla ristorazione. Da qui l’idea di entrarci e viverla fino in fondo. Con la compagna Allegra Tirotti, architetto, hanno rilevato questo locale di lunga storia e grande panorama a monte Gabicce alcuni anni fa. Poi hanno cercato di individuarne tutte le potenzialità ed hanno messo a punto il progetto, che dopo una lunga incubazione sta partendo, anzi almeno la ristorazione è sicuramente partita. Su questa adesso ci focalizziamo, non senza un minimo parlare della cornice: la cura dei dettagli, dell’arredo, della sostenibilità. Ogni cosa è stata pensata e realizzata con il pensiero di chi va oltre il domani. Parliamo ora di chi ci mette la faccia. In primis sempre la coppia dalla quale tutto è partito, Allegra e Stefano, che accolgono e seguono gli ospiti. Ma se loro non hanno ancora la professionalità di lungo corso necessaria alla gestione corretta del tutto, c’è chi da’ una mano. Sia in sala, come il giovani e preparato Alessio Di Iorio, sia in cucina dove il responsabile è Davide Di Fabio. E’ difficile dire dove finisce Davide Di Fabio e comincia Massimo Bottura. DI certo Davide ha vissuto tantissimi anni accanto a Massimo e ne ha appreso, meglio forse di tutti, la filosofia e le idee. Davide è abruzzese, ha sempre avuto un pò di nostalgia per l’Adriatico, e dopo tanti anni alla Francescana desiderava anche lui mettersi in gioco di persona. E il contesto ci sembra la soluzione migliore. A fianco ha il bravissimo Alessandro Fabbrucci (che segue anche l’orto) con il quale dialoga perfettamente e tanti altri ragazzi giovani ed in gamba.
Il primo menù è già sorprendente. Un percorso che strizza l’occhio al passato, omaggio all’amarcord felliniano, per poi proporci una cucina di grande gusto, senza troppe avventure, ragionata e moderna. Una serie di piatti senza sbavature, ben eseguiti, anche gradevoli all’occhio senza per questo ricercare l’estetica maniacale. Difficile segnalare il migliore tra tante perle, ci limitiamo a notare che la parte finale dei dessert, pur essendo buona non è ancora (ma siamo agli inizi) all’altezza di quanto arriva prima. Bravi quindi tutti, con la voglia di ritornarci quanto prima.
Un bel progetto davvero quello sta nascendo in Valpantena! L’avevamo già capito dal formidabile lavoro di comunicazione che era stato fatto, ma certo girarci dentro di persona è ben altra cosa. La cura dei dettagli, del giardino, dell’orto concentrico, della bottega e della sala del ristorante è stato veramente notevole. Ed ancora dobbiamo vedere le camere (per fine anno) che completeranno il gran recupero di Villa Balis Crema posta in alto sopra Grezzana. L’unica cosa che la comunicazione non era riuscita a trasmettere ed è quindi stata una vera sorpresa è chi ha pensato e sta realizzando il tutto: Diego Zecchini, imprenditore non solo capace e con le spalle salde (visto il notevole impegno economico del recupero), ma anche simpaticissimo, una di quelle persone che lasciano il segno e che vorresti sempre come amico. Al mattino la colazione nella Bottega è calda, coccolosa contornati dai bei prodotti esposti e da una magnifica selezione di formaggi del posto, la sera la cena è di gran qualità. D’altronde ai fornelli è Giacomo Sacchetto, lunga carriera (anche se è sempre giovane) con due grandi chef come Perbellini e Niederkofer, e qui ha a sua disposizione una brigata corposa di valore (citiamo almeno i sous chef Alberto Andretta e Nicola Bertuzzi e il pasticciere Davide Tarenghi con la sua giovane a brave assistente). Anche la sala è ben impostata sotto la guida esperta, ma sempre giovane di Giampiero Compare. In poco tempo, quando non era nemmeno aperta la sala del ristorante ma si cenava in Bottega, il locale ha già preso la sua prima stella michelin. Segno che le ambizioni sono tante. Ed in effetti considerando un pò tutto, dagli stuzzichini iniziali alla pasticcieria finale, è difficile trovare punti deboli. Il menù spazia con sicurezza in lungo e largo tra ingredienti selezionati e presentazioni curate, senza grandi cadute e sbavature. Il piatto signature ci è sembrata la variazione di carne della Lessinia, il meno equilibrato gli spaghetti con il ragù di gallinella. Qualche piccola raccomandazione: ai avverte spesso una sapidità oltre le righe, e infine l’orto della casa è formidabile, le foglie e le verdure sono spesso presenti, ma raramente protagoniste come potrebbero e dovrebbero essere.
Cresce il numero di chi ama la pizza e le bollicine e in parallelo anche la formula “pizza e bolle”. Dopo Oslavia, ecco Sant’Isidoro gradevole come il primo, ma con uno spazio all’aperto che fa la differenza. Riccardo Squillace, il titolare, ovviamente ama le bollicine e ci propone prima un Kante dosage zero, per finire con Beaufort freres. Si beve bene, ma anche la pizza (tipologia napoletana a canotto) è ben idratata, lievitata e cotta, ed i prodotti scelti con cura. Certo, tra fritti e pizze (alcune anche un pò troppo pesanti) la cena tende a diventare impegnativa, ma la scelta alla fine la fa sempre il cliente, che qui almeno trova ingredienti e modi che invogliano a tornare.