La vista è talmente bella che rischia di togliere la scena, ma questa volta anche la cucina ci è sembrata all’altezza. In una sala orgogliosamente piena di italiani (quando normalmente qui si parlano le lingue del mondo ed è un bel segnale in tempi di covid-19), si mette in mostra il servizio curato e attento al particolare (non è sempre così scontato anche in un 5 stelle) e Fabio Cervio ci propone una serie di assaggi convincenti. Se nel passato a volte la sua cucina ci era sembrata un pò involuta e barocca, questa volta punta decisa al gusto netto con meno orpelli. Sugli scudi l’anguilla, elegante il pollo (da applaudire che sia un pollo e non il solito piccione), e consigliabile la triglia croccante. Deludono solo i ravioli un pò pasticciati e si chiude con dei buoni dessert che andrebbero solo forse resi più belli visto il contesto. Però complimenti all’albergo, e in particolare al food&manager Daniele Colombo, per come riesce a convivere e a reagire all’emergenza virus.
Porzioni Cremona
Con un gruppetto di amici, che ringraziamo per l’invito, eccoci a sorpresa da Zia per trovare e assaggiare con piacere il nuovo menù. E’ intimo e minimale la saletta e l’arredo per far risaltare meglio i piatti dello chef, il giovane Antonio Ziantoni, è sempre fine e sorridente la compagna Ida in sala. Le foto che riportiamo sono poche, un incidente le ha falcidiate, ma i piatti assaggiati, essendo in 6 coprivano praticamente tutto il menù. Curiosamente mancano le cose migliori, che da sole giustificano la visita: l’Animella farcita con il pomodoro secco, servita con erbe spontanee( foglie di senape) e crema ai tre latti( vaccino, caprino, ovino) e il Risotto mantecato con mozzarella di bufala, polvere di limone e genziana. Notevole l’inizio con una serie di stuzzichini di ottima tecnica, meglio i tortelli dei cappellacci un pò coperti dall’intingolo. Difetto questo che riappare nella buona linea di secondi dove l’anatra si fa preferire per equilibrio complessivo e ottimo abbinamento con la zucca (e che zucca!). Grande è lo sforzo fatto in direzione della pasticceria dove Christian Marasca ha approntato una linea per l’asporto. Ed in effetti i dessert sono golosi e buoni, ma qui al ristorante li vorremmo più costruiti e finalizzati come dessert al piatto.
Ci piace molto il Viu Hotel, un albergo moderno, funzionale, comodo che a parte le confortevoli camere offre una duplice alternativa golosa firmata da Giancarlo Morelli, un grande professionista della tavola per altro anche molto umano e simpatico. Il più semplice Bulk, è un luogo perfetto, contemporaneo, elegante, rilassante con i suoi comodi divani, ideale per un aperitivo, un drink, un pranzo veloce. All’accoglienza Ruggero Belluzzo e Giulia Cavallini, al bere miscelato Luca Zarnetti. Subito dopo è la sala, indubbiamente ricercata, ma ci piace di meno con il suo arredo più lucido e nero. In comune la precisione e cortesia del servizio, qui affidato a Marika Azzariti, Simone Marelli e Gloria Brembilla, tutti giovani e bravi. La cucina è grande, ben attrezzata, regno di Giancarlo Morelli che anche qui si avvale di un team giovane: il fedele Livio Pedroncelli con Paolo Croci, Matteo Lucchetti, Mathias Carvalho, e Gabriele Redaelli Pastry Chef. Siamo ospiti di un caro amico, Luigino Poli, e con lui assaggiamo quasi l’intero menù: meglio gli gnocchi dei ravioli un pò pasticciati, meglio la ricciola della cipolla al forno, meglio il pollo ficatum della guancia di vitello. Si chiude con una serie notevole di dessert che sorprende per il livello e la varietà.
Siamo contenti per questo nuovo traguardo della famiglia Cerea, che in un solo anno e mezzo conquista la seconda stella Michelin nella nuova edizione asiatica della Rossa. Da Vittorio a Shanghai raggiunge alti livelli anche fuori dall’Europa, che con le tre della storica insegna a Brusaporto e due con il ristorante di St. Moritz, salgono a sette stelle.
Obiettivi che sono stati raggiunti anche grazie ai nostri già Emergenti. Soddisfatti della squadra in cucina guidata da Stefano Bacchelli, già EmergenteChef per la selezione nel 2016, e in Sala da Enrico Guarnieri premiato come miglior EmergenteSala 2018. Un’esperienza che li ha formati professionalmente e che ha permesso ai ragazzi di farsi conoscere,
Dopo un periodo di stop, che ha coinvolto tutto il mondo, lo staff di Da Vittorio si è impegnato ancora di più per portare al meglio il concetto di gastronomia ed accoglienza. Questo grazie alla passione per il proprio lavoro e per la ristorazione, esaltando sempre la materia prima con una solida tecnica e una perfetta sintonia tra cucina e sala.
La brigata è composta da 70 elementi, tra italiani e non : come il sous chef Francesco Bonvini, il pastry chef Frederic Jaros e la front office manager Anna Rota .Il general manager Levi Fu, il sous chef Tom Yuan, il panetterie Tony Tan, il maître Peter Tian, i sommelier Declan Tang ed Emanuele Restelli.
Andare da Pipero è un pò come andare a scuola: ogni volta si impara qualcosa. Entriamo e la sala è piena di italiani a tutti i tavoli, quando fino a pochi mesi fa la metà erano sempre stranieri. I problemi li ha avuti lui, e li ha ancora, come tutti gli altri, ma di certo sa come affrontarli. I meriti sono tanti, la sua accoglienza è leggendaria, il servizio di sala ti segue al tavolo con i guanti coccolandoti senza nemmeno fartelo pesare, e anche in cucina Ciro Scamardella con i suoi si destreggia ad alti livelli. E’ curioso come la cucina di Pipero sia avvertita e citata come “cucina romana”, (c’è anche questa, pensiamo alla mitica “carbonara”), ma qui c’è ben altro, direi rimandi di “grande cuisine” come in pochi altri luoghi di città. Pensiamo ad esempio all’ineffabile ed elegante terrina di foiegras e funghi che potresti essere in un tre stelle parigino, o alla perfetta salsa chamapgne che fa passare quasi in secondo piano il buon rombo. Una cucina che non insegue il rischio inutile, che spesso non paga, ma che si apprezza nello scorrere della cena, dalla serie di finger foods iniziali (forse solo un pò troppo invadenti), alla buonissima tartara e al risotto ben equilibrato. Meno convincente ci sono sembrati i ravioli (troppo sapidi e concentrati), e torniamo in alto con il sopracitato rombo e la dolce animella ben contrastata dal wasabi. Si chiude con i dessert, buoni, ma li vorremmo un tantino più spettacolari.
Ci ha lasciato un grande amico, un cuore generoso, un gastronomo raffinato. Tante le passioni in comune, perfino nei dettagli. Come il sottoscritto, se sentiva di un locale sperduto tra i monti ma con cucina interessante, lui il giorno dopo era là, magari anche a 500 km di distanza. E, se era valido, mi telefonava allegro e felice. In particolare amava scoprire i giovani chef, perchè lui era come loro, altrettanto giovane nell’animo, ed inoltre voleva capire la trama della cucina di domani assaggiando i piatti della nuova generazione. E’ morto poco dopo un lungo giro al sud che l’aveva caricato a mille, ma non a sufficienza per vincere il male. E qui riportiamo la sua ultima tappa, non ha fatto in tempo a mandarci il suo commento se non che la cittadina di Nicastro era bellissima, il locale pure e Luigi Lepore, talmente bravo da meritare una stella.
Castel Giorgio è all’incrocio di tre regioni (Umbria, Lazio e Toscana) eppure sembra discosto da qualsiasi rotta, ma ringraziamo l’invito dell’amico Alessandro Natali per avercela fatta scoprire invitandoci a venire. Nell’intorno da Civita a Bolsena, da Orvieto alle Città del Tufo c’è un mondo bellissimo e qui, su una collina verde, tra prati e boschi sorge un nuovo resort a cinque stelle: La Chiaracia per offrirti confort e rigenerazione. La struttura si estende lungo il verde, moderna, confortevole, superaccessoriata (spa, fitness, sale conferenze ecc..) quasi senza traccia di un passato che probabilmente non esisteva neppure (forse un vecchio casale ora demolito) e, quasi a voler recuperare un po’ di radici, ecco il ristorante con appunto tale nome. La brigata è professionale: chef Stefano Faioli di indubbia esperienza, souschef Andrea Luisi e alla pasticceria la giovanissima Giada Bellaccini. In sala ci accoglie il direttore, giovane anche lui, Matteo Calcabrini con Maruro Clementi sommelier e Cristiano Arlandini secondo maitre. Un team coeso e motivato che deve comunque far fronte ai non pochi impegni di un 5 stelle (colazione, pranzo, cena, room service, eventi) ed infatti il menù non è sterminato, ma giudiziosamente contenuto. Si apprezza la cortesia del servizio, la buona volontà di fare tutto in casa, la cura nella presentazione delle ricette, il ricorso a molti ingredienti dei piccoli produttori locali. Però le “radici” non vengono fuori, chiudi e riapri gli occhi e di certo potresti stare in una qualsiasi parte d’Italia, con i sapori che non riescono a focalizzarti sul circondario, come il nome vorrebbe suggerire. Tra i piatti più riusciti un’elegante gallinella, e la linea dei dessert un pò ripetuta nello stile ma ben ispirata e realizzata dalla giovane pasticceria; tra le cose meno riuscite mettiamo i due primi.
Accanto al più evoluto progetto di Bros’ a Lecce, Roots nasce giustamente come alternativa campestre nel percorso gastronomico di Isabella Potì e Floriano Pellegrino. Alternativa che ci ha subito attratto ed eccoci finalmente in questa bella dimora con prato e orto sul retro che ha indubbiamente tante qualità: il semplice ma coinvolgente arredo, la cottura tutta a fornello come la tradizione vuole, il largo spazio dato alle verdure perlopiù prese dall’orto, la piccola ma curata selezione di vini pugliesi, il servizio affidato agli stessi ragazzi della cucina: Yuta Bise, Moustapha Ndiaye e Simone Princi. A noi è capitato quest’ultimo, il più giovane, ed è stato bravo ed efficiente. La proposta è imperniata sul menù degustazione, tanti antipastini, un primo, scelta tra due secondi e il dessert. Un po’ il pranzo della domenica ed infatti c’è una piacevole aria di casa. Però dobbiamo dire che, sarà la stima che abbiamo per Isabella e Floriano (purtroppo assenti), ci aspettavamo qualcosa di più dalla cucina. Di veramente buono abbiamo trovato i peperoni, la zucca ed i funghi tra gli antipastini (da cassare il fritto mediocre e appena tiepido), meglio la pasta al forno dei secondi e del dolcissimo dessert.
Un locale di stile e impatto moderno, accogliente (ma la luce giallina dell’interno non ci convince), con alla guida due fratelli Mirko e Tiziano, il primo al pane e ai dolci, il secondo a tutto campo. Menù di poche proposte elencate senza distinzione di ruolo (antipasto o primo ad esempio) che mostra fantasia e creatività. Sono autodidatti ma indubbiamente si sono preparati ed hanno studiato. Tutti i piatti assaggiati sono gradevoli e mostrano un pensiero dietro, anche se poi a tutti forse manca qualcosa per fare la differenza. Ma siamo in un locale dove con 39 euro ti fanno assaggiare 5 piatti sensati e non è poco. Il migliore? forse l’ottima melanzana in salsa bbq mal abbinata al caciocavallo, il meno interessante ? un Paris Brest (in realtà non un lungo ma un semplice bignè) appesantito da una spessa crema (ma Mirko prima ci aveva dato un ottimo pane). Ai vini Edoardo Ratti che mostra passione e professionalità consolidata.
Claudia ed Alberto Carretti ci hanno accolto con semplicità, ma tanta attenzione. Lui è un esperto enologo, ma l’avevamo conosciuto anni fa più per il parmigiano ed il culatello (altre sue passioni). Lo visitiamo per la prima volta a casa sua, e che casa! Una dimora nobile, con belle sale interne e intorno una vigna che negli ultimi anni sta decisamente crescendo sotto la guida attenta di Alberto. Tante sono le etichette e l’assaggio di alcune di queste ci conferma il percorso di qualità, per altro anche originale, che Alberto sta seguendo, impostando il lavoro in modo minuzioso ed attento ai dettagli che fanno la differenza. E non è solo vino: la colazione al mattino è un esempio con il buon pane fatto in casa, lo yogurt e le torte, è venendo al salato, quando si parla di salumi Alberto non sbaglia mai. Podere Pradarolo è un bell’esempio di ospitalità.