Siamo nelle terre della famiglia Ottavi (donde anche Ottaviano poco distante), qui passava l’acquedotto che portava l’acqua dall’Irpinia alla flotta romana di Capo Miseno, e qui sorgeva questo antico complesso residenziale noto come “Villa Augustea” a Somma Vesuviana alle pendici del Vesuvio, vuoi per la grandiosità della villa vuoi per il probabile legame con la famiglia imperiale. In realtà la più parte della villa risale a dopo Pompei ed è stata preservata e giunta a noi grazie alla lava che l’ha ricoperta in un’eruzione successiva del tardo impero. E’ veramente imponente quello che, grazie al contributo del Giappone, è venuto alla luce, e forse tanto altro è ancora interrato. Interessante il legame con l’agricoltura, qui d’altronde siamo in piena “campagna felix”, sono numerosi i riferimenti ai prodotti e in particolare al vino con statue a Dionisio e fregi. C’è anche una vasta cantina con le anfore ben visibili. Cosa coltivavano allora? per la nostra guida, Francesco Mosca, bravo ed appassionato, nessun dubbio: catalanesca e lui orgoglioso, ce ne omaggia una bottiglia (anzi due), del suo appezzamento poco distante.
Porzioni Cremona
Ro World, il mondo di Ro è un investimento importante. La parte grossa sarà l’Hotel che aprirà con il nuovo anno, ma già sono stati aperti i servizi di ristorazione. Fronte strada è il grande e bel bar pasticceria che si avvale della consulenza dell’esperto Antonino Maresca coadiuvato da Carmen Peluso, mentre sul retro con ingresso anche separato troviamo il ristorante. A gestire è Giuseppe Tufano con a fianco l’inseparabile (sono cresciuti insieme) chef Francesco Franzese, giovane intraprendente esperto. La brigata è già imponente rispetto ai canoni italiani, sia in cucina dove Franzese è coadiuvato da Vincenzo Ruggiero, sia in sala affidata ad Alfredo Manzoni con Giuseppe Galasso sommelier, Yumi Nuzzolo e Mario Vinciguerra assistenti. La brigata di cucina si muove con scioltezza e dà spettacolo dietro la grande vetrata e anche il servizio di sala si muove elegantemente in una sala lucida, d’effetto, un pò da discoteca, ma funzionale ed accogliente. La cucina di Franzese punta dritto verso un “confort food” impreziosito dalla buona materia prima utilizzata, dalla cura portata nella presentazione, da qualche tocco ad effetto che in genere riesce nello scopo. Più che l’umami si avverte una frequente rincorsa del sapido (che non è il massimo da un punto di vista salutistico), ma è comune nella zona. Da lodare il gran pane, il bello e articolato benvenuto iniziale, ma tutta la sequenza è su un livello apprezzabile con solo il granchio un pò troppo sbilanciato sul dolce e a proposito dei dolci, sono buoni, ma un pò troppo da pasticceria.
Amiamo i formaggi, doprattutto quelli d’alta quota, e al richiamo dell’alpeggio è difficile resistere. Eccoci quindi con Arianna Galati, Massimiliano Tonelli, Leo Spadaro, Beatrice Mencattini e Pietro Accolti Gil salire i tornanti del Moncenisio per arrivare lassù, al campo base: la malga dove la famiglia Giovale da varie generazioni porta le vacche e qualche capra per fare una serie di formaggi eccellenti. Come tutti gli appassionati sanno, la vera differenza nel gusto finale la fa l’alimentazione degli animali. Per questo è così importante la transumanza e poter permettere alle manze di nutrirsi di erbe e fiori che hanno una complessità polifenolica superiore. La ritroviamo nel latte appena munto, e si fissa poi nelle tome. Una famiglia straordinaria, 4 fratelli ognuno con la propria specialità e la nuova generazione che avanza. L’accoglienza è spettacolare con un banco di formaggi che potrebbe figurare nel Guinness dei Primati e che ci dà modo di capire che oltre la qualità, la varietà è un altro punto di forza della Famiglia. Siamo stati due giorni, vedendo tutte le fasi di lavorazione, imparando quasi a riconoscere le manze (non certo con la maestria di Chantal e di Alain i due giovani nipoti di Beppe, due malgari provetti). E ringraziamo Beppe per come riesce a trasmettere la sua passione, la sua determinazione nel difendere l’ambiente e le tradizioni, senza cedere a facili compromessi. Venire su quest’alpeggio è illuminante, non tutti (lo capiamo bene) possono farlo, invece a tutti consigliamo un semplice modo per render onore al merito: andate a comprare questi formaggi, è facile, soprattutto per chi è a Roma: Beppe e i suoi Formaggi, al Ghetto: http://www.beppeeisuoiformaggi.it/
Vivi i Parchi del Lazio è un’iniziaitiva della Regione Lazio per valorizzare alcuni territori nel mese di agosto. Sei domeniche e sei parchi e riserve selezionate per assicurare il necessario refrigerio. Noi abbiamo parteciapto alla terza domenica, dedicata ai Laghi Lungo e Ripasottile di Rivodutri che sono alimentati dalla Sorgente più grande d’Europa, quella di Santa Susanna. Qui accanto a Poggio Bustone è anche nato Lucio Battisti e l’evento aveva il giusto titolo di Acqua Azzurra Acqua chiara. Il posto è incantevole, e a cento metri è anche il ristorante La Trota dei Fratelli Serva che si son dati da fare, e non poco, per l’allestimento e l’organizzazione della giornata. E con alcuni amici ce la siamo goduta partecipando anche ad un bel dibattito sull’importanza di queste piccole aree che però hanno un potenziale molto più grande e che è un dovere cercare di sfruttare. Alcune idee sono state gettate, il conseonso delle Istituzioni è fondamentale, speriamo che arrivi. Brindisi finale alla sera con alcune ricette della Trota.
Altra apertura a Nola, una conferma che le piccole città sembrano vivere il post covid meglio delle grandi. Il locale è grande, bello, senza risparmio sia dentro con i suoi ampi spazi, che nel giardino sul retro. Accoglienza professionale all’entrata con hostess, e coordinamento affidato all’esperto Umberto Campioni mentre al bar è il giovane Gianluca Giglio. Anche la cucina viaggia tranquilla grazie all’esperienza di Francesco De Simone, a lungo chef al Tiberio Palace di Capri ed ora qui con il suo souschef Marco Malaspina e la giovane Dalila Perrone in pasticceria. Si fanno i numeri ed è un altro bel segnale, grazie anche ad una cucina che non trasmette particolari velleità di ricercare finezze gastronomiche, quanto sembra più di seguire il gusto comune. Nei vari assaggi emergono meglio i primi rispetto agli antipasti. Merita comunque un ritorno più approfondito.
Luigi Salomone è ancora molto giovane, ma ha il piglio e la presenza di uno chef maturo. Idee chiare su come impostare il locale, il team, la proposta avendo preciso nella mente l’obbiettivo che alla fine quello che conta è soddisfare il cliente e far quadrare i numeri. Siamo quindi di fronte ad un locale nuovo, ma che sembra funzionare già da tempo, sia per la qualità del lavoro che per il giro della clientela. D’altronde Luigi Salomone si era già fatto notare e bene nelle sue precedenti esperienze e in particolare ad Emergente Chef dove qualche anno fa è passato lasciando il segno. Re Santi e Leone è un bel ristorante per come è stato pensato, arredato e costruito dall’accueil alla cucina in fondo che gode di ampi spazi e iena funzionalità. In sala accolgono Silvana Di Domenico (ex Hotel Romeo) e Michele Beneduce ambedue esperti con Stella Vecchione e Vincenzo Scognamiglio, in cucina con Luigi Salomone il suo storico braccio destro, Vincenzo Oliva, con Salvatore D’Apice e Alessio Iodice alla pasticceria. Abbiamo fatto un ottimo pranzo con solo due piccole sbavature (una nota sapida a volte ricorrente, e i tortelli tecnicamente non perfetti), ma per il resto un livello molto interessante con alcune ricette da citare: l’ottima tartare perfettamente bilanciata con la sua nota affumicata che fa la differenza, un elegante baccalà reso originale dall’abbinamento con il gelato di friggitielli, ed al vertice mettiamo gli spaghetti e vongole che qui vivono un orizzonte gustativo ben più ampio ed elegante grazie alle sfumature organolettiche dell’aglio nero e del tè affumicato. I dolci sono buoni e golosi, esteticamente migliorabili.
E’ sempre bello vedere un locale che anche di questi tempi lavora a pieno regime. Alla base l’indovinato arredo con poltrone e poltroncine che ti avvolgono e l’accoglienza simpatica dei due cugini, Alessandro in cucina ed Andrea in sala, che sanno come coccolare i clienti e farli sentire come a casa. Non ultimo i prezzi competitivi per un locale che è comunque in una zona elegante di Roma ed infine eccoci alla cucina. Quest’ultima per volontà dichiarata ed espressa è veramente basica senza ambizioni con i piatti semplici di cucina romana e regionale. Imperano polpette, fiore di zucca fritto, amatriciana e tonnarelli cacio e pepe. Curiosamente il piatto che lascia il segno è l’unico che esce dal seminato: foie gras con gelato di raparossa.
E’ un piacere ritrovare Roberto Allocca, ex vincitore di Emergente Chef tanti anni fa, qui a Marennà dove è arrivato dopo la permanenza a Relais Blù. Dal mare alla collina, dalla piscina all’orto che a breve sorgerà accanto alla cantina. Si è subito acclimatato, d’altronde conosce bene questi posti ed abita poco distante. Anche il locale si è aggiornato ed ora sfoggia una bella winery che sembra un nido al centro della sala. La brigata è giovane sia in sala che in cucina e merita ricordarne i nomi. In sala Vincenzo Mancinelli, Martina Serino, Gianluca Onorato e Carmine Caiazza. In cucina con Roberto Allocca ecco Giovanni Battista Polcari, Michele Greco, Mattia Barbarisi, Pasquale Fontanelle. La gentilissima Francesca Onorato ci fa assaggiare alcuni vini dell’azienda tra i quali come non citare il Feudi Studi ed il Serpico per la loro classe! La cucina di Allocca si fa subito apprezzare per la ricchezza del gusto, per la varietà di ingredienti utilizzati nel rispetto del territorio, per la buona tecnica evidenziata. Qualche ricetta risulta ancora un pò ridondante ed il percorso andrebbe ancora alleggerito, ma per l’appunto molto si punta sull’orto che dovrebbe essere attivo a breve. Tra i piatti migliore è da citare l’elegante agnello e i due buoni primi, da migliorare la parte finale della cena con i dessert buoni ma non all’altezza del resto.
Borgo Santa Cecilia, vicino Gubbio
Seguite le indicazioni che vi portano, sembrerebbe, nel nulla attraverso boschi e strade anche sterrate, per scoprire poi che il “nulla” è pieno di sorprese. Arriviamo così non lontani dall’Eremo di Santa Cecilia, nascosto tra i monti di uno sconosciuto Appennino in un piccolo borgo rimesso a nuovo ed ingrandito dalla famiglia Onorati. All’inizio era la passione per la caccia. Questa è rimasta ma è stata affiancata da quella degli animali, dei salumi e così via fino ad arrivare alla cucina. Pur essendo loro cittadini, hanno appreso l’arte rapidamente: i salumi sono eccezionali, con un prosciutto di 5 anni da incorniciare, una conferma che la bontà si basa soprattutto su come viene trattato e cosa si dà da mangiare all’animale, e quassù per loro è sicuramente un piccolo paradiso. Ma anche per la cucina hanno avuto buon fiuto: Alessio Pierini, il giovane chef, era di Gubbio, poi andato in giro ed ora eccolo tornare a casa. E la sua cucina è tutt’altro che banale. Si presenta già come la migliore del circondario e giustifica le curve e la polvere bianca che bisogna attraversare per arrivarci. La cena proposta è stata più che interessante, specie la prima parte, con le tagliatelle al porro bruciato e buccia di pecorino sugli scudi, per poi calare leggermente, ma sempre su livelli per altro encomiabili. Speriamo che il progetto si completi e continui, in tal caso questo Borgo sarà veramente uno dei quei posti nascosti ma da citare come esempio.