E’ uno dei pochi casi in cui è difficile per noi essere oggettivi. Conosciamo Paolo Lopriore da quando praticamente cucina, l’abbiamo seguito nel suo girovagare, da Marchesi, da Troigros e così via. Siamo andati perfino alla Bagatelle a Oslo e abbiamo saltato solo il suo passaggio ai Tre Cristi a Milano. Questo per dire che lo conosciamo bene, nelle sue tante evoluzioni tecniche, nel suo pensiero libero, nel suo particolare approccio alla cucina. Al Portico ha rimescolato ancora le carte, ma ci sembra felice, e questo è importante. In fin dei conti è tornato a casa e non solo in senso metaforico: abita nel paese accanto, in sala è la preziosa mamma Rosa Soriano, e a fare la spesa l’aiuta al mattino il babbo Pippo. Il locale è anche intelligente con la cucina al centro, lì dove tutti avrebbero fatto la sala, lascia un piccolo affaccio verso la piazza per un mangiare veloce su sgabelli, e dall’altra parte si accede alla sala attraverso un piccolo dehor che viene utilizzato in stagione. Il nuovo stile di cucina e di servizio è già stato ampiamente descritto. Ci siamo stati a pranzo (dove tra l’altro è ottimo il rapporto prezzo qualità), e siamo stati bene. Paolo in persona, a noi come agli altri tavoli, arriva con i tanti piattini che compongono ogni portata, e il mangiare è goloso, il cliente lasciato libero di comporselo come vuole. E’ troppo basico per uno chef della sua portata? forse, ma crediamo che questa non sarà l’evoluzione finale di Paolo, ma è un passaggio importante dove recupera coscienza, sicurezza e autostima necessaria forse per ripartire un domani con qualcosa di diverso ancora. Ma anche in questa fase riesce a dare un messaggio importante: lo chef deve cucinare non solo per se stesso, ma soprattutto per il pubblico, e una grande cucina può essere anche quella di piccole cose di una volta fatte con attenzione e cura.
Andrea Salvetti
Questa cronaca si riferisce ad un pranzo di circa un mese fa, prima quindi della conferma delle due stelle a Enrico Bartolini. E dobbiamo dire che è stato forse il pranzo migliore del 2016. Eccolo:
Un bel salto dalla Brianza al centro di Milano, dal gestire non uno ma una diecina di ristoranti sparsi per il mondo, e tutto questo in meno di un anno! Siamo ammirati non solo per il salto di quantità, ma anche per la qualità di questo bel ristorante al primo piano del Mudec che non pensavamo potesse marciare, visto anche le premesse, su questi livelli. Non pensavamo di trovare neppure Enrico Bartolini, visto i tanti impegni che ha preso in giro per il mondo, e invece ci viene incontro rilassato e sorridente. e ci rilassiamo anche noi in questa sala rarefatta, dove ogni cosa è stata pensata e studiata per lasciare l’estetica del piatto al centro dell’attenzione. E la cucina di Bartolini si conferma tra le più raffinate della penisola con un’attenzione millimetrica ai dosaggi, alla geometria del piatto, alla lucentezza delle coperture, alla riproduzione fotografica degli ingredienti presi come riferimento. E all’estetica, che è il primo impatto, risponde preciso anche l’assaggio, dove andiamo a ritrovare in perfetta sequenza gli annunciati equilibri e rispondenze che immaginavamo presenti. Una cucina che richiede non solo una grande creatività e un ottimo palato come presupposto, ma anche tantissimo lavoro di brigata per poterla eseguire con continuità e a questi livelli. E pensare che siamo praticamente ancora in rodaggio! Difficile tra i tanti assaggi scegliere il migliore, alla fine optiamo per i due primi: il risotto arlecchino, bello anche per la doppia presentazione, e comunque molto equilibrato e buono, e gli spaghetti quasi freddi, che consigliamo agli irriducibili che pensano che la pasta secca sia buona solo al sud.
Come si suol dire, una bella improvvisata: dalle 17 a tarda notte (noi ce ne siamo andati poco dopo il tramonto per rientrare su Roma), arte e musica, drinks e food, con diecine di chef che hanno improvvisato un pò di tutto con gli ingredienti trovati in giro, aiutandosi a vicenda e servendo gli ospiti in libertà e allegria. Tanta gente, ma anche tanta voglia di divertirsi in modo non banale in una location che si è rivelata sraordinariamente capace di contenere così tanti messaggi diversi.
Cook In è probabilmente la rivista più tecnica di alta cucina, che vede mescolare con grande impatto visivo l’arte e la cucina. E’ opera (geniale ma faticosissima) di Anna Morelli, anche Lei un personaggio come quelli che racconta. Allegra, vivace, inventa sempre qualcosa di nuovo come ad esempio la festa che ha organizzato domenica per il suo compleanno. Auguri Anna, non ti annoi e non ci fai mai annoiare!