Di questi tempi le novità valgono il doppio e quando sono buone come questa anche il triplo. Qui poi ne abbiamo due in una: la pizzeria ‘A Rota (che proveremo una sera) e l’osteria Eufrosino di Paolo D’Ercole. Paolo è un appassionato autodidatta che si è fatto conoscere e ben volere (e non a caso al tavolo accanto al nostro c’è parte della brigata di Pipero in vivista amicale). Tenta una strada curiosa: quella di presentare ricette di varie regioni in un piccolo menù che consente quindi di viaggiare dalle isole alle Dolomiti. Non sempre sono ricette fedelissime all’originale, ma l’intento più che didascalico è quello di divertirsi con i sapori, anche perchè si apprezza lo sforzo di basarsi comunque su ingredienti selezionati. Ne abbiamo provate qualcuna e il risultato è più che soddisfacente, con la migliore quella vicino casa (la ciriola) seguita dal coniglio siciliano in agrodolce, la meno convincente è una chitarrina un pò anonima. Altre note a favore sono il buon pane fatto in casa che fa presagire anche una pizza di livello (ci torneremo), la piccola ma attenta selezione di etichette, il servizio esperto di Paolo Abballe (ex Metamorfosi), l’ambiente veramente godibile e centrato (l’osteria è nuovissima e sembra già vissuta) e infine il conto modesto. Insomma di ragioni per venire fin qui ce ne sono e non sono poche. A sfavore il parcheggio difficoltoso.
Paolo Abballe
Pur avendo Roy imparato il mestiere in Italia, conserva ancora (meno male) le sue radici colombiane ed un’ acuta indipendenza gastronomica che gli permette di affrontare alcune ricette nostrane con animo disincantato. Il risultato, grazie non solo alle tecniche apprese lungo il percorso, ma anche ad un ottimo palato, è notevole. La sua cucina è oggi tra le più interessanti d’Italia, e con un pizzico di nota intrigante e dissacrazione che la rende particolare. Pensiamo all’inizio, alla precisione degli stuzzichini iniziali di chiara impronta sudamericana (uno più buono dell’altro), poi la parentesi piaciona della spuma di patate, poi arrivano i due assaggi forse migliori, due preparazioni da fare al tavolo con le mani arrotolando la larga foglia che fa da contenitore e ripetendo un modo tradizionale di mangiare ancora largamente diffuso in vaste aree del mondo. Tra i primi quelli più tradizionali (le due paste ripiene) ci hanno convinto più dei finti ravioli di pomodoro e dell’antipasta, anche se quest’ultima non passa di certo inosservata per la sua carica gustativa. Splendido e buono il risotto nella foglia di verza e sempre su un alto livello con i due secondi (baccalà e piccione) per finire un pò in calando sui dessert che sono forse la parte più debole della cena. Anche il contorno è pregevole: la sala si è rinnovata ed ora è sicuramente più funzionale ed elegante, il servizio di Paolo Abbale umano e corretto, e ad Alessandro D’Andrea dobbiamo le lodi per gli ottimi drinks di apertura. Un plauso finale a Ciro Scamardella, braccio destro di Roy e ancora fresco vincitore di Emergente Chef 2016.
Ci siamo capitati un pò all’improvviso, ritrovandoci ai Parioli con un impegno saltato. E’ bello vedere un locale di classe che lavora ed è bello avere una piacevole conferma. Roy è uno di quei pochi chef che ha sempre qualcosa da dire e lo fa in modo originale e personale. Cura tutto con grande precisione, pensiamo al servizio del pane, ai vari stuzzichini serviti (buonissime le puntarelle), si fa la pasta fresca in casa, ma anche le salsiccie, e non tralascia i dessert. Insomma uno chef completo che questa volta, memore di nostre passate critiche sui primi (un pò trascurati a volte) ce ne ha voluti presentare tre. Tutti e tre innovativi, poco italiani, ma sensati e che ti fanno pensare, dalla pasta ripiena che lascia il campo aperto alla farcia e al condimento, ai maccheroni di interessante cottura, agli spaghetti freddi al levistico coraggiosi e intriganti. Prima dei primi, due entrate più classiche come la ceviche (troppo insistente sulla nota acida) e il foie gras (troppo orientato al dolce), ambedue comunque molto eleganti.
Metamorfosi sempre più in alto
Dobbiamo a Roy Caceres una delle migliori cene dell’anno che si sta chiudendo. Ha avuto buoni maestri, non ultimo Bruno Barbieri alla Solarola, dove l’abbiamo conosciuto tanti anni fa, però è cresciuto quasi da solo, senza il peso delle a volte ingombranti (ma dovute) radici che frenano qualche nostra bella speranza, e ora ci offre una delle cucine più interessanti della Capitale e non solo. Ha forse innata la giusta predisposizione all’equilibrio e alla pulizia del piatto, evita il superfluo e non sconfina nel rarefatto. C’è precisione e gusto, manca ancora qualcosa nell’area “primi piatti” che vorremmo ancora più convincente e con meno ridondanze. Ma è da seguire e , per chi ancora non lo conosce, da visitare. Metamorfosi a Roma, zona Parioli.