Si vive solo 3 volte. RIchard Geoffroy, prima medico, poi 35 anni chef de cave alla Dom Perignon (non una cave qualsiasi) dove ha strabiliato tutti lanciando la nuova serie oenoteque, ora si cimenta in una nuova avventura. Affascinato dal Giappone e dalla sua cultura, si è inventato un nuovo modo di fare il sakè: non da una singola “brew” (come in genere viene fatto) ma creando un blend partendo da selezionati sakè. Ci ha presentato al De Russie la sua prima e raffinata bottiglia (costa poco meno di un Dom Perignon), IWA 5, Iwa crediamo da Shiraiwa, il luogo di produzione in Giappone, e 5 è il grado di armonia raggiunto secondo la sua scala. Ogni anno ce ne sarà uno leggermente diverso, probabilmente migliore, certamente più caro. All’assaggio il palato viene avvolto da un’elegante morbidezza mandorlata che in effetti non risulta per nulla stucchevole e ben si abbina ai piatti che il De Russie ha proposto per l’occasione, salvo forse il gradevole gazpacho all’anguria (che per altro sarebbe stato difficile abbinare anche al vino….o forse no se ci avessero servito il Dom Perignon!).
Richard Geoffroy
Mancava solo un pò di venticello romano serale, ma quest’estate sembra avara al riguardo. Per il resto una serata quasi perfetta, che ha visto 4 annate di Dom Perignon accompagnare i piatti di Francesco Apreda, e così dall’Oenoteque (le vecchie annate di DP) alla Plenitude (le annate più recenti; in genere comunque anno almeno quasi una diecina di anni) abbiamo visto, assaggiato e goduto la pienezza di queste interpretazioni dello champagne, presentate direttamente dal creatore, Richard Geoffroy chef de cave. 4 annate, 4 bottiglie che è un piacere assaggiare, dove è difficile dire quella più buona. La nostra preferenza va al 1995, al massimo della sua pienezza, ma come non riconoscere la grandezza del 2003, vista la difficile annata? E un buon champagne si dimostra ideale anche negli abbinamenti, a volte non semplici, con le ricette di uno chef che cerca anche lui di conciliare la potenza dei sapori con l’eleganza del contesto. Francesco Apreda ha iniziato con un polpo sapiente, proseguito con dei vermicelli intriganti, è andato sul sicuro con i rigatoni, per chiudere con l’agnello (con qualche ridondanza di troppo) e fulminarci con un perfetto dessert.
Quando chiama Dom Perignon, in molti rispondono. Un’occasione unica quella di assaggiare alcune annate di queste grandi etichette. Notevole anche il contorno: Villa Aurelia è una location di grande classe immersa nel verde del Gianicolo, e lodevole il menù scelto, non una serie di piatti cucinati, ma di grandi prodotti dell’ agroalimentare italiano.